Comitato civico di Pentone: “racconti di una vita al limite”

Catanzaro Attualità

Nella tasca porta sempre una fiche di 20.000 lire: tutto quello che gli rimase dopo aver giocato 40 milioni al casinò. “La vita non è solo quella che si è vissuta, ma anche quella che si sarebbe potuta vivere”, lo ripete Mario Pugliese, 55 anni, si è messo a nudo di fronte alla sua comunità. Ha raccontato la sua storia, ‘una vita al limite’ la definisce: l’infanzia senza scarpe, la partenza per Milano, gli hotel (prigioni e stazioni), i giostrai, la malavita - o la “vita mala” - la droga. Passa da un anno all’altro. “Sono stato ospite della mia vita”, ribadisce. Arriva al secondo tempo: niente droga, impegno contro la violenza su donne e bambini, passione per l’ornitologia e premi nei relativi concorsi. Condivide il suo percorso nell’incontro organizzato dal Comitato civico “L’Arco”. Mette in guardia chi lo ascolta - soprattutto i giovani perché basta un attimo per perdersi - e propone di istituire uno sportello per minori e ragazze madri. Il racconto di una vita è stato introdotto da Franco Gigliotti e Michele Merante, membri del Comitato. Entrambi hanno sottolineato come Mario Pugliese ribadisca sempre che il suo non è un esempio da seguire. A inizio serata Faustina Macrì ha letto la lettera di una volontaria Caritas che ha operato nel carcere di Siano.

Mario Pugliese parte dell’infanzia. Nasce a Pentone. Dove gira sempre scalzo, anche in una discarica alla ricerca di un po’ di alluminio per racimolare qualche soldo. A quattordici anni lascia la scuola edile e parte per Milano. Da allora diventa un nessuno. “Pascolavo tra la stazione e la metropolitana, se rubavi un cartone ti accoltellavano - ricorda - giravano delinquenti, pedofili…dormire non si dormiva: avevo paura”. “Ho sempre vissuto rubacchiando”, aggiunge. Entra ed esce dal carcere minorile, molte volte si fa beccare di proposito: per avere un pasto caldo e un posto dove dormire.

Un gruppo di giostrai lo prende con sé. Sulle prime sembra il paese dei balocchi. Ma è un inferno. Mario vive da schiavo: recluso, manodopera a costo zero, pranzo fuori accanto al cane. Riesce a fuggire, scappa nei boschi. Per qualche tempo vive con gli zingari – “almeno venivo trattato da essere umano” commenta. Dopo la malavita o la “vita mala”, come la chiama lui. L’incontro con la droga. “Ho cominciato con gli amici, con il solito ‘prova’ - racconta - ‘smetto quando voglio’…mi fa ridere questa frase”. Mario entra in un giro di trafficanti: sarà arrestato, vivrà anche l’isolamento completo. Arriva pure a fare uso di eroina. “L’eroina ti annienta, l’eroina ti fa perdere il rispetto di te stesso - dice - non riesci a descrivere cosa provi, ecco perché è così difficile uscirne”. Ma Mario ne esce. E non dalla porta dell’overdose o dell’aids. Ne esce pensando alle figlie, dopo tentativi e ricadute, “crampi come coliche renali” e anni in cui “il richiamo dell’eroina lo senti nella tua testa”.

Oggi è ritornato nel suo paese, racconta la sua storia e forse si sorprende dell’ascolto e dell’affetto dei suoi concittadini.