Operazione Gebbione, sequestrati beni per 25 milioni ad imprenditore reggino
La Dia di Reggio Calabria ha sequestrato beni per un valore di circa 25 milioni di euro a Giuseppe Malara, 59enne imprenditore reggino nel settore edilizio che il 25 luglio del 2007 era stato arrestato insieme ad altre 37 persone nell'ambito della nota Operazione "Gebbione" - condotta dalla Squadra Mobile dello Stretto - e che avevano consentito di scoprire le infiltrazioni criminali della cosca Labate nelle attività economiche ed imprenditoriali nella zona-sud della città, in particolare nei quartieri Sbarre e Gebbione.
E' stato quindi disposto il sequestro del patrimonio dell’imprenditore tra cui figurano, in particolare il patrimonio aziendale di una ditta individuale con sede in Reggio Calabria e operante nel settore edilizio; quasi un centinaio di immobili tra appartamenti, villette a schiera, cantine, garage, lastrici solari e terreni in parte adibiti ad uso personale ed in parte ad uso aziendale; tre autovetture; disponibilità finanziarie aziendali e personali ammontanti a circa 500 mila euro.
SECONDO L’INCHIESTA il gruppo finito in manette avrebbe ottenuto profitti attraverso l'estorsione consistente nel pagamento di presunte "mazzette" e nella fornitura di beni e servizi da parte di imprese controllate dagli associati, ovvero, attraverso la protezione in favore di imprenditori collusi tra i quali ci sarebbe stato, appunto, lo stesso Giuseppe Malara. In quell'occasione la vicenda si concluse con l'assoluzione dell’imprenditore. Tuttavia l'Organo Giudicante, nella sentenza, aveva espresso delle riserve nei confronti dell'appaltatore edile definito testualmente: "… imprenditore abituato a convivere con i mafiosi, dei quali è amico e dai quali si fa blandire, ottenendo in cambio il permesso di svolgere la propria attività lavorativa nel quartiere di Gebbione … ".
DALLE INDAGINI Malara era emerso come imprenditore colluso con la cosca dei Labate, con la quale avrebbe instaurato una sorta di “relazione clientelare stabile, continuativa e foriera di vantaggi reciproci”. Secondo gli inquirenti l’uomo sarebbe risultato come un soggetto appartenente in senso lato ad una cosca dalla quale avrebbe usufruito “di un tipo di protezione attiva, fondata non sulla soggezione ma sui legami di fedeltà e motivata dalla prospettiva di un vantaggio economico di tutti gli appartenenti”.
In particolare il Malara avrebbe portato avanti lavori nella zona di competenza dei Labate, investendo capitali considerati di dubbia provenienza e nello stesso tempo avrebbe aiutato i loro uomini di fiducia a sottrarre immobili alle iniziative di confisca. Per il Tribunale l'imprenditore reggino sarebbe ritenuto un soggetto socialmente pericoloso: attraverso la sua presunta appartenenza alla 'ndrangheta avrebbe ottenuto protezione e partecipazione alla spartizione dei lavori, incrementando a dismisura, ma del tutto illecitamente, i profitti della propria impresa, la quale ha conquistato importanti fette di mercato e si sarebbe alimentata grazie ai proventi di attività illecite.
Le determinazioni della Sezione Misure di prevenzione sono scaturite da una articolata attività di indagine patrimoniale, condotta dal Centro Operativo D.I.A. di Reggio Calabria su input del Direttore De Felice, volta a verificare le modalità di acquisizione dell'ingentissimo patrimonio societario e personale riconducibile all'imprenditore, il quale negli ultimi anni aveva incrementato la propria attività con la costruzione di numerosi immobili nella zona sud della città dello stretto.
Gli accertamenti, oltre all'evidente incremento del volume d'affari della azienda con una concorrenza che gli inquirenti considerano sleale e a danno degli imprenditori onesti, avrebbero evidenziato una sproporzione tra gli acquisti e, più in generale, gli investimenti effettuati dal Malara sin dagli anni ottanta rispetto a quanto personalmente dichiarato.