Villirillo (Associazione Marco Polo): “I Cie sono mine vaganti”
“In Italia, esiste una legge che porta il nome di due cadaveri politici. È la legge Bossi-Fini, buona prasi, in grado di durare più dei due Onorevoli che le hanno dato un nome. E’ dato atto che, alla politica nostrana piace giocare con le parole e con l’ipocrisia, la legge è stata sempre più peggiorata, prima con l’istituzione dei Cpt, poi con la loro trasformazione in Cie. Traduciamo per i non esperti: Cpt significava “Centri di Permanenza Temporanea”, cioè luoghi chiusi, recintati e controllati, in cui rinchiudere gli immigrati irregolari.
La formula deve essere sembrata troppo umanitaria, perché a un certo punto, il Cpt sono diventati Cie, cioè “Centri di Identificazione ed Espulsione”. Come si nota, due tentativi molto elaborati di trovare sigle che non contengano le parole “carcere”, “galera”, “arresti”. In sostanza, un modo per trattenere come detenute persone che non hanno commesso alcun reato”. E’ quanto scrive in una nota il presidente dell’associazione Marco Polo, Rosario Villirillo.
“Dato che – prosegue Villirillo - le ipocrisie italiane sono come le ciliegie, una tira l’altra, le persone che stanno rinchiuse nei Cie vengono denominate “ospiti”, invece che “detenuti”. Le cronache indicano come molti di loro, prima di essere “ospiti” dei Cie sono stati veramente “detenuti” nelle patrie galere. Colpevoli, la gran parte, del reato di immigrazione clandestina, ossia colpevoli di non avere un permesso di soggiorno, o di averlo perso perché hanno perso il lavoro. Si evidenzia per chi non capisce il paradosso: prima ti arrestano perché sei clandestino.
Ti schedano, ti prendono le impronte digitali e ti identificano. Poi ti sbattono in un centro per l’identificazione per identificarti un’altra volta e mandarti via. Si dirà che uno Stato di diritto si valuta anche da come tratta i suoi prigionieri. I Cie “Centri di Identificazione ed Espulsione”, vengono gestiti da chi vince gare al massimo ribasso, per cui spesso le strutture, l’assistenza sanitaria, le condizioni igieniche sono ben sotto il limite della decenza. Peggio delle carceri, dicono i deputati che sono riusciti a visitare qualcuno di questi centri, e “peggio delle carceri italiane” è una affermazione che fa paura.
I Cie definiscono gli immigrati, agli occhi di tutti, come un pericolo oggettivo, indipendentemente dai comportamenti effettivi, criminalizzando e stigmatizzando il fatto stesso di migrare o anche semplicemente di essere stranieri (come nel caso di quei due ragazzi, figli di genitori bosniaci, nati e vissuti in Italia). Nella catena di istituti giuridici preposti alla produzione di “clandestini” i Cie rappresentano l’anello più importante e decisivo, nonostante l’apparenza possa indurre a pensare il contrario; perché se è vero che gli stranieri sono considerati dalla legge “clandestini” prima ancora di capitare in un Cie (per essere trattenuti è necessario che venga prima emesso un decreto di espulsione), è altrettanto vero che è lì dentro che tale condizione viene suggellata pubblicamente e stabilmente.
Il “trattenimento” (ma sarebbe meglio chiamarlo col proprio nome, ovvero “detenzione amministrativa”), disposto indipendentemente dalla commissione di specifici reati, sembra in realtà raggiungiere un unico obiettivo: quello di razionalizzare e normalizzare l’intero processo di clandestinizzazione degli stranieri. Al tema ha dedicato recentemente un interessante studio l’Associazione “Lunaria”.
Tale studio si conclude con una serie di indicazioni di policy che vale la pena riprendere integralmente: “Il mantenimento del sistema di detenzione amministrativa svolge una funzione del tutto residuale ai fini di un efficace “contrasto dell’immigrazione irregolare” mentre espone i migranti a gravi violazioni dei diritti umani fondamentali che non sono accettabili in uno Stato di diritto. La chiusura dei CIE è urgente, è possibile, ed è auspicabile anche nella prospettiva di ridurre la spesa pubblica inefficiente”.
1) ” In attesa di una riforma che porti alla chiusura di queste strutture, è indispensabile ridurre immediatamente il periodo massimo di permanenza nei CIE riportandolo a un massimo da 180 a 30 giorni e dare attuazione alla circolare che impone l’identificazione dei cittadini stranieri detenuti in carcere all’interno delle stesse strutture carcerarie”. 2) “Almeno sino a che il sistema rimarrà in funzione, il Ministero dell’Interno dovrebbe evitare di emanare avvisi pubblici per l’affidamento della gestione dei CIE che, a causa del basso costo pro die/pro capite previsto, impediscano di assicurare l’erogazione dei servizi necessari a garantire la dignità e i diritti umani dei migranti detenuti” 3) “Il successo assai limitato delle politiche meramente repressive di lotta all’immigrazione irregolare suggerisce di rivedere appena possibile l’intera disciplina dell’ingresso e del soggiorno dei cittadini stranieri nel nostro paese.
E’ necessario ribaltare completamente le priorità delle politiche migratorie e sull’immigrazione a partire dalla piena ed effettiva garanzia dei diritti umani fondamentali dei migranti”. In tale orizzonte è auspicabile, pertanto: a) “ratificare la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1990; b) ampliare i canali di ingresso regolare sia per motivi di lavoro che per ricerca di lavoro ; c) introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria ad personam, che possano consentire ai migranti di ottenere un titolo di soggiorno in presenza di requisiti che siano in grado di comprovare il loro effettivo inserimento sociale nella società italiana; e) minimizzare i rischi di una ricaduta nell’area dell’irregolarità per coloro che hanno un titolo di soggiorno anche estendendo la durata della validità dei documenti di soggiorno;
f) limitare il più possibile l’utilizzo dello strumento dell’espulsione coattiva, così come suggerito dalla Direttiva comunitaria 2008/115/CE; g) adottare una disciplina organica sul diritto di asilo in conformità con l’art. 10 della Costituzione; h) garantire l’effettivo accesso alla procedura di asilo dei migranti soccorsi in mare; i) assicurare ai migranti stabilmente residenti sul nostro territorio la piena titolarità dei diritti di cittadinanza attraverso la riforma della legge 91/92 sulla cittadinanza e il riconoscimento del diritto di voto amministrativo”. Ciò premesso – continua la nota - si rileva che, dal Friuli alla Calabria divampano le proteste nei Centri di identificazione ed espulsione.
Ma le politiche del rifiuto non solo non funzionano ma hanno anche un costo salato: 1 miliardo e 600 milioni in dieci anni. Nei fatti i crescenti rigidi controlli alle frontiere, le deportazioni coatte, i respingimenti in alto mare, il sistema centralizzato dei dati e delle impronte digitali, il legame indissolubile tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno, la criminalizzazione diffusa e la contrazione della soggettività giuridica degli immigrati sono tutti elementi che vedono convergere le politiche sull’immigrazione in Italia verso un comune obiettivo:” svalorizzare la forza-lavoro immigrata”.
Netta contrarietà, alla vigente legislazione regolamentare dell’immigrazione, vengono espresse da primarie Associazioni Umanitarie Nazionali ed Internazionali; da Sua Santità Papa Francesco, a Lampedusa, ha lanciato un grande appello contro la “globalizzazione dell’indifferenza” a favore dell’accoglienza di migranti e rifugiati; da “Medici per i Diritti Umani' che denunciano: "I Cie sono inefficaci e dai costi umani inaccettabili"; dal Sindacato Siulp di Polizia: “Magari espellessimo i veri criminali, sempre più spesso riaccompagniamo alla frontiera lavoratori irregolari, a volte denunciati da italiani che vorrebbero il loro posto di lavoro; dall’Associazione Nazionale Forense che ritengono: “inutile e dannoso” il reato di immigrazione clandestina; dal partito Radicali: "i CIE continuano ad essere assurdi"; dal Presidente Napolitano, in occasione della ricorrente
tragedia di Marcinelle: “In questo giorno dedicato al ricordo del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, è necessaria una riflessione sui temi della piena integrazione degli immigrati e della sicurezza nei luoghi di lavoro”; il Ministro per l'Integrazione Cecile Kyenge: il governo ha avviato una riflessione sui Cie per valutare condizione e utilità di queste strutture" in generale, in particolare, dopo la chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione di Modena, Bologna, Lamezia Terme e Isola di Capo Rizzuto, mentre il Presidente del Parlamento europeo: Martin Schulz, rileva: "In Europa c'è un vuoto legislativo, manca una legge che regoli veramente l'immigrazione".
Appare, pertanto, legittimo interrogarsi sulle vere ragioni della loro esistenza. A cosa serve davvero la custodia dei corpi degli immigrati nei Cie? A renderli forse più docili e sottomessi per i futuri padroni? Ad insegnare loro la disciplina come un tempo si faceva nelle workhouses? I Cie - conclude Villirillo - sono i nuovi istituti bio-regolatori dei mercati del lavoro? Si auspica, pertanto, che la nuova compagine di Governo riesce dove i precedenti governi hanno fallito sul programma di riconoscimento dei diritti civili”.