Caccia e bracconaggio in Italia: un altro anno nero per la fauna selvatica
Sono aumentati nel 2013-2014 i crimini commessi dai cacciatori ai danni della fauna selvatica, o almeno sono aumentati i casi riportati dalla stampa. Per far luce sulla realtà della caccia e del bracconaggio e l’impatto che queste pratiche hanno sugli animali selvatici per il terzo anno consecutivo il CABS (Committee Against Bird Slaughter) e la Lega per l’Abolizione della Caccia hanno raccolto accuratamente ogni segnalazione comprovabile di reati commessi ai danni degli animali selvatici e hanno così stilato un calendario che permette di far luce su quanto il mondo della caccia non vuole necessariamente far sapere: e cioé che il bracconaggio in Italia é praticato principalmente da cacciatori con licenza di caccia (81%) e che l’attività di caccia illegale è sistematicamente diffusa sul territorio ed è una reale minaccia per gli uccelli e i mammiferi, protetti e non.
Lo sanno bene i ricercatori del progetto Waldrapp, che ogni anno conducono a svernare in Toscana una dozzina di ibis eremita reintrodotti in natura, una specie un tempo comune, ma che venne sterminata dalla caccia: ancora oggi, riferivano all’inizio della primavera, la maggioranza dei loro animali presenta in corpo pallini da caccia.
E lo sanno anche gli albanesi, che hanno appena indetto una moratoria della caccia nel loro paese per due anni, principalmente per “difendersi” dai turisti cacciatori italiani, considerati dei massacratori di uccelli: i tour operators organizzano viaggi pronto caccia con furgoncini dotati di refrigeratori per permettere ai nostri cacciatori di uccidere senza problemi e conservare gli uccelli morti a lungo.
Il calendario stilato dalle due associazioni raccoglie un totale di 548 casi di reati compiuti ai danni della fauna selvatica, apparsi in articoli di stampa o comunicati della forestale, polizia provinciale e vigilanzia venatoria volontaria, commessi da 1.133 bracconieri nei 365 giorni fra l’ultimo giorno di caccia della stagione scorsa e l’ultimo di quella appena terminata.
“Sappiamo che migliaia di casi non vengono trasmessi alla stampa e decine di migliaia di reati non vengono mai scoperti.” – commenta Andrea Rutigliano, redattore del calendario per il CABS – “Basti pensare che secondo i dati raccolti dalla vigilanza WWF di media un cacciatore su 4 fermato in un momento qualsiasi, viene sorpreso a commettere un reato. Quelli che abbiamo raccolto sono solo la punta di un iceberg: ritengo peró che sia uno specchio piuttosto fedele di quanto rimanga sommerso”.
E i dati mettono sotto accusa la caccia, che non puó sottrarsi dalle sue responsabilità: l’81% dei colpevoli di reati contro la fauna sono cacciatori in possesso di licenza di caccia, mentre solo il 15,5% vanno imputati a bracconieri puri, senza licenza. Gli uccelli pagano i costi più alti del bracconaggio: verso di loro si orienta il 70% dei crimini, contro il 30% sui mammiferi.
Fra questi nel 2013-2014 sono stati uccisi 2 orsi (uno in Trentino a colpi di fucile e uno in Abruzzo col veleno) e almeno 21 lupi (11 uccisi a fucilate, 6 con i lacci e 4 col veleno). I rapaci sono vittime comuni dei cacciatori: nell’anno appena trascorso é rimasta notizia di 121 rapaci abbattuti a schioppettate, fra cui aquile reali, aquile del Bonelli, lanari, falchi pellegrini, gheppi, sparvieri e numerose poiane.
I reati più diffusi sono l’uso dei richiami sonori elettromagnetici (22% dei reati), ormai ubiquitari, che servono ad attrarre gli uccelli a portata di fucile e permettono di fare grossi bottini in poche ore, l’abbattimento di specie superprotette (20%) e la caccia in zone di divieto, come i parchi naturali (12%).
I reati riportati si concentrano nelle province di Brescia (da sempre maglia nera dell’illegalità venatoria) con l’8% dei casi, Salerno con il 7%, Caserta, Bergamo e Reggio Calabria, tutte con il 5%, Foggia con il 4% e Cosenza, Cagliari, Lecce e Napoli con il 3%.
La regione con la maglia nera è di conseguenza la Campania che detiene il 17% dei bracconieri nazionali, segue la Lombardia con il 15%, la Puglia con l’11% e la Calabria con il 10%. La regione più virtuosa – o almeno quella dalla quale è pervenuta una sola notizia di bracconieri sorpresi in flagranza – è la Val d’Aosta.
Secondo Graziella Zavalloni, presidente della LAC, il calendario mette in mostra notevoli criticità legate alla lotta al bracconaggio: “È notevole rimarcare come spesso gli stessi cacciatori siano sorpresi ripetutamente a commettere lo stesso reato, oppure come regolarmente gli stessi crimini vengano ripetuti sistematicamente nelle stesse aree. Ogni anno i cacciatori entrano a sparare nel parco del Cilento, delle Murge, del Pollino o addirittura nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Ogni anno da Brescia arrivano decine di sparvieri abbattuti. Si può predire in anticipo dove e quali reati verranno commessi. L’illegalità venatoria si è incistata nel territorio. Il sistema non funziona, le pene, prevalentemente risolvibili con ammende pecuniarie, rimaste per di più invariate dal 1992 non hanno più potere deterrente e i cacciatori – lo dichiarano loro stessi nei forum online - preferiscono pagare e continuare a bracconare. La vigilanza è saltuaria e insufficiente, in molte province addirittura completamente latente. Nei contesti più gravi – come nelle valli bresciane, in provincia di Foggia o nelle vasche del casertano – se non fosse per l’intervento del Nucleo Operativo Antibracconaggio della Forestale, la criminalità venatoria avrebbe un impatto davvero nefasto sulla biodiversitá.”
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