Processo d’appello “Locri è unita”: chiesta conferma delle condanne per Cordì, Aversa e Caroleo
“Confermare le condanne emesse in primo grado”. Si è svolta questa mattina la requisitoria del sostituto procuratore generale, Giuseppe Adornato, impegnato a sostenere l’accusa nell’ambito del processo scaturito dall’operazione “Locri è unita”.
Il pg ha chiesto alla Corte d’Appello reggina, Iside Russo Presidente, la conferma delle condanne nei confronti di Ilario Aversa, Antonino Caroleo e Antonio Cordì. Il Tribunale di Locri, Garreffa Presidente, il 21 luglio del 2012 aveva inflitto otto anni di carcere a Cordì e Aversa e sei a Caroleo in quanto ritenuti responsabili del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso. Anche per la Procura Generale quindi i tre soggetti sono ritenuti responsabili del reato di cui all’articolo 416 bis del codice penale. L’operazione “Locri è unita”, condotta dalla Polizia di Stato e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia reggina, scattò il 16 novembre del 2010.
Per la Procura antimafia, che all’epoca condusse le indagini, Ilario Aversa è ritenuto un soggetto attivo all’interno dell’omonima cosca originaria di Merici, federata alla famiglia dei Cataldo di Locri. Antonio Cordì e Antonino Caroleo invece, sono ritenuti esponenti di spicco della cosca Cordì di Locri. Cordì e Cataldo, due famiglie impegnate nel passato in una delle faide più violente avvenute sulla territorio della Locride che però avrebbero instaurato una pax mafiosa per ristabilire gli equilibri sul territorio e soprattutto per “salvarsi” dalla giustizia. Secondo gli inquirenti infatti, la tregua tra i Cataldo i Cordì sarebbe stata scoperta grazie alla convergenza di due fonti probatorie. In primo luogo ci sono le dichiarazioni di Domenico Oppedisano, testimone di giustizia, che ha deciso di denunciare nel 2010 ai magistrati una delicatissima situazione. Oppedisano è infatti, il fratellastro del boss Salvatore Cordì, alias “u cinisi”, ucciso in agguato mafioso a Siderno il 31 maggio del 2005.
Per l’omicidio del “Cinese” in primo grado è stato condannato all’ergastolo Michele Curicarello, mentre sono stati assolti gli altri due imputatati ossia Antonio Martino e Antonio Panetta. Secondo la D.D.A., l’omicidio del boss Cordì è avvenuto per opera dei Cataldo, impegnati ancora in quel periodo nella faida con i Cordì. Attualmente è in corso proprio in Corte d’Assise d’appello il processo per l’omicidio del boss Cordì. Ritornando ad Oppedisano, questi ha riferito ai magistrati di essere stato avvicinato da alcuni elementi delle due consorterie per testimoniare in favore dei soggetti che all’epoca erano imputati in Corte D’Assise. Oppedisano però si rifiuterà di “infangare” la memoria del fratello e dirà tutto alla Procura antimafia. Altri elementi a carico dei tre imputati sono, secondo gli inquirenti, alcune dichiarazioni intercettate all’interno della lavanderia “Ape green” di Giuseppe Commisso alias “u mastro”, recentemente condannato in appello per associazione mafiosa alla pena di 14 anni e 8 mesi nell’ambito del processo “Crimine”.
Tra gli innumerevoli argomenti che Giuseppe Commisso ha discusso nel corso dei molti mesi in cui sono andate avanti queste intercettazioni, c’è anche una serie di conversazioni, una in particolare con Ilario Aversa, in cui viene confermata la circostanza della raggiunta pacificazione tra i Cordì e i Catalto. Le due famiglie si sarebbero messe d’accordo per un obiettivo. Lo scopo primario è quello infatti, di dividersi i guadagni illeciti in zona, tramite appalti o lavori. Per appalti e lavori si intendono in realtà i frutti delle estorsioni, nonché i lavori effettuati dalle ditte “satelliti”, ossia quelle aziende intestate fittiziamente a soggetti prestanome che riescono e riusciranno ad aggiudicarsi gli appalti. Dinnanzi ai soldi, le due cosche avrebbero messo una pietra sopra alla faida.