Lamezia Terme, il dramma del Belice nel libro “Anfore spoglie” di La Rocca
Scongiurare il rischio di seppellire un mondo ricco di storie, di avvenimenti e valori autentici appartenenti alla Valle del Belice colpita, tra il 14 e 15 gennaio del 1968, da un tremendo terremoto, è la finalità del libro di Domenico La Rocca “Anfore spoglie” ( Montedit Editrice) presentato dalla professoressa Lina Latelli Nucifero nel corso di un incontro organizzato dall’associazione Altrove, presieduta da Anna Cardamone.
Un mondo riferito in particolare a Montevago, paese di origine dell’autore , devastato dal tremendo sisma di magnitudo 6.1 , che provocò 370 morti, quasi 1000 feriti e circa 70.000 sfollati.
Domenico La Rocca aveva soltanto otto anni quando fu costretto a vivere in prima persona la terribile esperienza del terremoto che lasciò un segno profondo nella sua psiche ma anche un acceso desiderio di non permettere che fossero seppelliti nell’oblio e nel silenzio i luoghi della Sicilia occidentale, teatro del sisma, proprio quei luoghi che erano stati del Gattopardo. Ed ecco che dopo anni di silenzio e di smarrimento, La Rocca decide di tornare a « rivivere quello che era rimasto di quella vita, di quelle storie, di quelle contrade», ricostruendo, andando a ritroso nel tempo, case e strade, cortili e quartieri per dare voce a quel mondo perduto per sempre. «Pian piano - ha spiegato - ho intessuto, attraverso i ricordi miei e dei miei genitori, l’intero racconto ricomponendo storie ed avvenimenti rivivendoli con i personaggi stessi sino a ristabilire la realtà che si era volatilizzata per sempre e consegnarli alla storia».
«L’autore - ha commentato la professoressa Lina Latelli Nucifero - rievoca il clima e lo spirito di quel periodo antisismico nel quale gli avvenimenti narrati, che richiamano alla realtà del sisma, all’assurdo di una situazione assurda, costituiscono il tessuto connettivo, il filo conduttore che fa da agente coesivo alla varietà della trattazione. Le storie dei personaggi, realmente esistiti, ma trasfigurati dalla fantasia dell’autore, rientrano nella realtà, sottintendono e alludono ad altre vicende ben definite o, comunque, configurabili in un preciso contesto esistenziale, di cui l’uomo contemporaneo diventa protagonista.
Nasce pertanto un racconto tramato di ira e disperazione, di speranza e fede, di volontà e sopravvivenza come si evidenzia specie nell’epilogo del libro. Un racconto - ha proseguito - che muove dalla testimonianza di uno scorcio di vita del paese di Montevago, riscattato sul piano della scrittura da un processo di ricostruzione delle macerie lasciate dal sisma ed espresso in un linguaggio spontaneo, immediato, quasi gestuale, che procede secondo un registro stilistico concreto e reale, senza fratture brusche né di tono né di intensità».
L’opera è attuale, in quanto mette in luce le criticità che emergono all’indomani dei terremoti. In particolare il terremoto del 1968 della Valle del Belice mette drammaticamente a nudo lo stato di arretratezza in cui vivevano quelle zone della Sicilia occidentale, la fatiscenza costruttiva delle abitazioni in tufo, crollate sotto i colpi sussultori del sisma, l’iniziale inerzia dello Stato, l’impreparazione logistica, l’emigrazione cui furono costrette le popolazioni interessate al sisma, costituite soprattutto di donne, vecchi e bambini, poiché gli adulti e i giovani erano già andati via in cerca di lavoro e lo squallore delle baracche in cui furono costretti a vivere coloro che rimasero.