Quattordici bunker per nascondere i “boss” latitanti
Nel 2005, quando l'esercito fece irruzione nel covo, a Rosarno, del boss della 'ndrangheta Gregorio Bellocco, si diffuse una canzone in dialetto calabrese, secondo alcuni scritta proprio dal boss, che celebrava il 16 febbraio di quell'anno come 'giorno fatale', perché 'ci fu la cattura di un uomo geniale'. L'indagine di oggi, denominata Pettirosso, muove i primi passi proprio dall'arresto di Gregorio e Giuseppe Bellocco nel 2005 e 2007. Uomini di vertice della 'ndrina, inseriti nell'elenco dei 30 latitanti più pericolosi in ambito nazionale. I Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale di Reggio Calabria, hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. su richiesta della Procura della Repubblica reggina, nei confronti di 10 affiliati alla cosca "Bellocco" di Rosarno, indagati per associazione mafiosa, procurata inosservanza della pena, favoreggiamento personale, porto e detenzione illegale d'arma da fuoco, aggravati dal metodo mafioso. La ricerca dei latitanti aveva consentito anche la cattura di altri latitanti di spicco gravitanti nell'orbita criminale dei Bellocco, tra cui Carmelo Lamari e Giuseppe D'agostino, al vertice della federata cosca "Lamari-Chindamo-D'agostino", attiva nel comprensorio di Galatro e Laureana di Borrello. La ristretta cerchia di affiliati, a sostegno della latitanza, assicurava i contatti dei ricercati con i familiari ed i principali associati, la loro assistenza e la predisposizione dei numerosi bunker sotterranei utilizzati quali rifugio. In particolare, gli interventi operati nell'area circostante il comune di Rosarno hanno fatto individuare ben 14 rifugi abilmente celati all'interno di abitazioni, interrati in fondi agricoli, ai quali si accedeva attraverso botole attivate da sofisticati congegni idraulici. Contestualmente è stato eseguito un provvedimento di sequestro preventivo di beni, consistenti in 13 fabbricati e 67 appezzamenti di terreno agricolo e edificabile, dell'estensione di circa 14 ettari, del valore complessivo di 10 milioni di euro, riconducibili agli indagati. Nelle intercettazioni ambientali fatte dai carabinieri il boss Domenico Oppedisano e altri affiliati alle cosche calabresi parlano dei numeri della Società (l'equivalente dei mandamenti siciliani) di Rosarno.