Crisi: allarme Eurispes, metà fondi Ue non spesi dall’Italia
L'Italia rappresenta uno dei maggiori contribuenti al bilancio dell'Ue, ma anche uno dei suoi principali beneficiari, in termini assoluti, soprattutto per quanto riguarda le regioni del Sud. Eppure, il nostro Paese fatica a spendere le risorse messe a disposizione.
È quanto rivela l'Eurispes, che avverte: "Dei 27,92 miliardi di euro stanziati dalla Ue nel settennato 2007-2013, la spesa certificata operata dall'Italia e dai suoi enti locali (tramite i Pon e i Por) ammonta a 13,53 miliardi, il che significa che ben 14,39 miliardi di euro devono essere spesi entro la data limite del 31 dicembre 2015, pena il disimpegno automatico di tali risorse. Questo significa che a oggi è stato speso meno della metà delle risorse disponibili".
Di conseguenza, spiega l'Eurispes in una nota, "per via di carenze di tipo organizzativo (mancata esecuzione dei progetti), inefficienze burocratiche, incapacità di presentare progetti valutati come appropriati, l'Italia vedrà evaporare cospicui stanziamenti finanziari che le spettavano di diritto e che sarebbero vitali in questo periodo di contrazione dell'attività economica. Basti pensare che l'ammontare a cui l'Italia si vedrebbe costretta a rinunciare equivale a oltre l'1% del Pil registrato dal Paese nel 2013 (1.362,5 miliardi di euro)".
La maggior parte dei soldi non spesi, e quindi a rischio disimpegno, dovrebbero finanziare l'obiettivo Convergenza, ovvero le regioni economicamente disagiate: infatti, allo stato attuale, sono proprio le regioni del Mezzogiorno a mostrare una più modesta capacità di spesa, che si esprime in un tasso di realizzazione estremamente ridotto (45,37%), mentre le altre regioni, nel loro complesso, registrano un tasso di attuazione del programma del 59,08%.
Di conseguenza, conclude Eurispes, "le regioni del Sud Italia, per via della loro scarsa capacità di spesa, si vedrebbero costrette a rinunciare a risorse che sarebbero vitali per dare impulso al loro sviluppo economico". Inoltre, "tale scenario produrrebbe l'effetto perverso di esacerbare le disparità economiche tra un Nord sviluppato e un Sud strutturalmente in affanno, anziché produrre quell'allineamento che rappresenta la ragion d'essere della politica regionale di coesione". (AGI)