La storia di Peppino Impastato raccontata dal fratello Giovanni
“Cosa ricorda degli anni dell’infanzia vissuti con suo fratello?” “Che cosa non condivideva della sua battaglia contro la mafia?” “Che ruolo ha avuto lo Stato in tutta questa storia?” E poi, fra tutte, la domanda più semplice e lapidaria: “Perché c’è la mafia?”
A tutte Giovanni Impastato, fratello di Peppino – ospite d’onore dell’iniziativa portata avanti dall’associazione “L’Arca”, in partnership con il Centro Servizi al Volontariato della provincia di Catanzaro- ha dato più di una risposta. E proprio perché provenienti da ragazzi delle scuole medie e degli istituti superiori di Montepaone e Soverato, ha voluto che ognuna di esse fosse accompagnata da segnali di speranza. La convinzione che la mafia possa essere sconfitta, assieme all’atteggiamento di rassegnazione e di indifferenza di cui essa si nutre, non può essere tolta, infatti, alle nuove generazioni, che oggi più che mai hanno bisogno di “cibarsi” di educazione alla “responsabilità” (come ha tenuto a rimarcare Saverio Candelieri, preside dell’Istituto dei Salesiani di Soverato). E ancora, del valore dello studio vissuto come opportunità e con spirito di sacrificio (secondo l’opinione di Mario Cortese, presidente del Csv di Catanzaro, al tavolo dei relatori nell’incontro mattutino con le scuole, tenutosi mercoledì presso la sala convegni del Banco di Credito Cooperativo di Montepaone Lido); dell’esempio degli adulti (è stato il commento di Giovanna Esposito, dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo di Montepaone), e della consapevolezza di poter smuovere già da ora le coscienze degli altri, poiché la mafia non è un fenomeno che lascia indenni i più giovani (ha affermato Saverio Sica, capitano del comando dei Carabinieri di Soverato. Sono altresì’ intervenuti Laura Rotundo, commissario prefettizio del comune di Montepaone, suor Ausilia Chiellino dell’Istituto Maria Ausiliatrice di Soverato e Carolina Scicchitano, direttore dei Gal calabresi).
Il giornalista, attivista politico ed artista anticonformista Peppino Impastato l’esempio l’ha lasciato, anche a costo del taglio netto del cordone ombelicale con la parte della famiglia legata indissolubilmente alla cupola siciliana degli anni sessanta, che gli è valso la condanna a morte con un carico di tritolo tale da dilaniarlo nel 1978. Fino ad allora il coraggioso Peppino si è preso gioco dei mafiosi, parenti e non, che facevano scempio del territorio e che speculavano sulla vita degli altri: ha fatto “rumore” con l’impiego di mezzi comunicativi diversi (il giornale poi censurato, il circolo “Musica e cultura” e la sua “creatura” più famosa, “Radio Aut”), senza mai rinunciare alla proverbiale ironia che lo caratterizzava ed all’incisività dello sberleffo (l’avere ribattezzato “Tano Seduto” quel Badalamenti che diede l’ordine di toglierlo di mezzo, ne è una riprova), ed è andato avanti senza tentennamenti, anche dopo l’omicidio del padre ad opera degli stessi mafiosi per cui lavorava, solo perché aveva tentato di farli desistere dal loro proposito di uccidere il figlio Peppino.
Giovanni, il fratello minore, ricorda tutti i passaggi di quegli anni: la sua testimonianza, unita a quella della madre, la forte e saggia donna Felicia – che appoggiò la scelta di Peppino di remare contro il padre e la mentalità mafiosa diffusa a Cinisi – ed alla ricostruzione che dell’intera vicenda fece il regista Marco Tullio Giordana ne “I cento passi”, ha fatto sì che le parole di Peppino continuassero a risuonare nelle aule scolastiche d’Italia, nelle manifestazioni per la legalità, negli scritti di chi in lui ha visto un personaggio irriverente, scomodo e proprio per questo indimenticabile. Un “eroe naturale”, come ha sottolineato Giovanna Vecchio, presidente dell’associazione L’Arca e abile coordinatrice dei vari momenti di cui si è composta la giornata (le riflessioni sono infatti proseguite nel pomeriggio, alla presenza dei cittadini e delle associazioni del territorio), che ha ancora il potere di scuotere le coscienze.
Anche se all’inizio le indagini sul suo omicidio sono state depistate e passate in secondo piano rispetto al ritrovamento del cadavere di Aldo Moro avvenuto nello stesso giorno, ed anche se la condanna all’ergastolo di Badalamenti è stata pronunciata decenni dopo. A ricordare Peppino c’è un’intera comunità che nella sua casa d’origine si ritrova per fare cultura, ed una legge, la 109, che ha permesso di confiscare i beni ai mafiosi, e quindi anche l’abitazione di Tano Badalamenti per scopi di utilità sociali. E c’è anche un fumetto, “Peppino Impastato: un giullare contro la mafia”, che sta mietendo premi ovunque e che è stato elaborato da due giovani autori – Lelio Bonaccorsi e Marco Rizzo, che hanno lasciato dei videomessaggi alla platea di Montepaone Lido – per ricordare con le immagini che bisogna ribellarsi, prima che sia troppo tardi, prima di non accorgersi più di niente. Perché la mafia altro non è che “una montagna di merda”, com’era solito ripetere Peppino.
Giovanni Impastato incontrerà anche le scuole di Borgia, Girifalco e Catanzaro nei giorni successivi.