Agricoltura: 100 mila nuovi schiavi nell’Italia del caporalato
I nuovi schiavi in agricoltura arrivano con i barconi dall'Africa o vengono reclutati nei centri di accoglienza. In cambio di un approdo nel vecchio continente, sborsano migliaia di euro a affaristi e colletti bianchi in cambio di finti rapporti di lavoro e permessi di soggiorno contraffatti. Solo in Italia sono circa 400.000 i lavoratori e le lavoratrici esposte al lavoro nero o grigio in agricoltura, di cui circa 100.000 esposti a condizioni di caporalato e grave sfruttamento paraschiavistico. La piaga del lavoro nero in agricoltura è al centro del nuovo numero di A Sud'Europa, rivista del Centro Pio La Torre, che sarà presentato domani mattina presso il Dipartimento di Scienze Agrarie di Palermo. Emerge il dilagare di forme moderne di caporalato e di sfruttamento dei nuovi immigrati presenti nei centri di accoglienza presenti in Sicilia.
C'è chi ha dovuto pagare cinque, sei o perfino dieci mila euro per arrivare in Italia, con un barcone verso le coste italiane nel caso dei migranti africani o medio orientali, o semplicemente con un visto turistico, come nel caso di indiani e bengalesi, o semplicemente con pullmini organizzati dalla Romania o dalla Bulgaria. Il meccanismo è sempre lo stesso: un intermediario promette un lavoro regolare e un permesso di soggiorno, poi dopo aver affrontato un vero e proprio viaggio della speranza per arrivare nel belpaese e dopo essersi indebitati fino al collo, i migranti non troveranno nulla di tutto ciò, ma per ripagare il debito contratto saranno poi disposti a lavorare in nero, sotto caporale.
Saranno poi altri intermediari presenti sul territorio italiano, spesso caporali etnici, a gestire la tratta interna e smistare la manodopera laddove ce n'è più bisogno, il tutto per conto di imprenditori italiani senza scrupoli. Secondo le principali Istituzioni europee sono circa 880.000 i lavoratori forzati in tutto lo spazio comunitario e la tratta degli esseri umani genera profitti per circa 25 miliardi di euro alle organizzazioni criminali internazionali.
Quanto a irregolarità occupazionale il primo posto spetta al Mezzogiorno dove il tasso supera la soglia del 25% (Campania e Calabria in testa). Esemplare il caso della Puglia. Secondo la Direzione regionale del lavoro nel 2013 è risultata in nero la metà dei lavoratori delle aziende sottoposte ad ispezione; tra le aziende agricole la quota varia dal 70% nella zona del Salento al 54% nella provincia di Bari, al 40% in quella di Foggia. Le irregolarità riguardano nella gran parte dei casi anche il salario, che generalmente ammonta alla metà di quello previsto dai contratti.
"Il caporalato segnala un passo indietro che va fermato - dice il presidente del Centro La Torre, Vito Lo Monaco - è ormai un reato punito, ma ciò non basta a prevenirlo e garantire il rispetto della dignità della persona e della legalità per tutti, europei e immigrati. Al rispetto di questa va subordinato l'accesso alle agevolazioni pubbliche, ipotizzando una premialità per le aziende agricole che adottano i protocolli di legalità". (AGI)