Nomina commissario, Tdm: “Riportare l’uomo al centro della sanità pubblica”
“Ieri sera il Consiglio dei Ministri ha nominato il Commissario alla sanità della regione Calabria nella persona dell’ingegner Scura, già Direttore generale nelle Asl di Livorno e di Siena. Si conclude così una vicenda che aveva assunto i contorni di una telenovela”. È quanto afferma il Tribunale dei diritti del malato.
“Sulla persona dell’ingegner Scura nessun problema a riconoscere le indubbie capacità, la necessaria preparazione e la competenza professionale. Non è certo in discussione questo aspetto. Ma ci sono molte ombre su quanto accaduto.
Se vogliamo fare alcune analisi di contesto non possiamo che rilevare, con molta franchezza, che la scelta è stata difficile a causa della situazione politica, principalmente del partito di maggioranza di Governo nazionale e della contestuale affermazione del Presidente Oliverio alle primarie. Oliverio infatti non era il candidato di Renzi ma nelle primarie calabresi ha ottenuto un’indubbia vittoria su Callipo, sostenuto invece da Renzi. Tale situazione non può essere dimenticata. Nelle elezioni regionali Oliverio sostanzialmente ha trionfato senza particolari patemi. Da quel momento, novembre 2014, si è avviata una trattativa per la nomina del Commissario alla sanità nella Regione Calabria.
Qui sarebbe tedioso ricordare tutti i passaggi ma basta sapere, come tutti i calabresi sanno, che si sono confrontati partiti (PD, NCD, Forza Italia), correnti all’interno dei partiti e gruppi di interesse per poter avere voce in capitolo sulla scelta del nome del futuro Commissario.
E così sono passati quasi 120 giorni senza che la Calabria avesse il Commissario alla sanità. Questo il livello politico che la dice lunga su come si è messi in questo paese. Sul fronte sanitario le cose però sono andate avanti in modo drammatico. La Fondazione Campanella, polo oncologico calabrese, è stata sciolta, i lavoratori sono sottoposti a pratica di licenziamento (e in Calabria perdere oggi il lavoro è ancora più drammatico); a Cosenza si è arrivati ad un clamoroso sciopero del personale medico e infermieristico; sono venuti alla luce scandali su sprechi di strutture pronte e mai aperte (vedi Cardiochirurgia a Reggio Calabria); chiusure di reparti (pediatria a Lametia Terme, Tin a Crotone , spostamento reparti da Cosenza a Rogliano causa insicurezza della struttura e molti altri nosocomi in piena sofferenza e via dicendo).
Insomma una lenta eutanasia della sanità pubblica calabrese frutto di anni di clientelismo, di malapolitica e di pessima gestione aziendale che non poteva che portare al Commissariamento di qualche anno fa. Oggi i conti sembrano sotto controllo. Ma a quale prezzo?
Non possiamo accettare come cittadini un’impostazione centrata sull’economia, sul pareggio di bilancio, sui tagli (lineari o meno sempre di tagli si tratta) che impongono ai cittadini una duplice beffa: pagare più tasse regionali per avere meno servizi pubblici e essere costretti, per chi ne ha la disponibilità economica, a emigrare fuori regione per curarsi o accedere al privato. Chi non ha soldi semplicemente non accede al servizio sanitario pubblico.
Sappiamo bene che la sanità nella gestione di un bilancio regionale è la voce più rilevante (mediamente copre il 70% dei bilanci regionali), ma questo non può giustificare in alcun modo una visione economicista. La sanità è un bene costituzionalmente garantito e necessita di una cura in tutti gli aspetti: finanziamento, controllo della spesa e rimozione degli sprechi, armonizzazione dei bisogni dei cittadini prima che dei lavoratori con scelte mirate a creare percorsi chiari, trasparenti e efficienti (ancora non esiste un Centro Unico di Prenotazione regionale ad esempio).
Uso intensivo delle strutture e dei macchinari (perché le analisi di laboratorio si fanno solo in determinati giorni e ore mentre macchinari costosi non lavorano 24 ore su 24?), creazione di rete emergenza-urgenza, creazione della rete oncologica regionale. Ma di fronte allo sfascio della rete ospedaliera manca del tutto una organizzazione capace di prendersi cura delle persone sul territorio.
La medicina del territorio in Calabria semplicemente non è percepita come centrale. Forse perché gli interessi di chi ci lavora non sono forti abbastanza? Mentre un ospedale, piccolo o grande che sia, è pur sempre un simbolo per la comunità locale e tutti sono pronti a scendere in piazza per difenderlo. Una riflessione va fatta però, a onor del vero, anche sui cittadini calabresi e sulle organizzazioni civiche.
Dobbiamo riconoscere di avere fallito in questi anni, magari non tutti ma la maggior parte si, il compito principale delle organizzazioni civiche che la Costituzione ci “riserva” da un lato ma dall’altro ci chiede: essere protagonisti attivi nella vita pubblica e prendersi cura dei beni comuni. Molti di voi conoscono l’art.118 ulitmo comma della Costituzione: "Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà”.
Ecco questo compito, questo potere e responsabilità in questi anni non è stato pienamente agito dalle organizzazioni civiche calabresi. Bisogna prenderne atto se vogliamo cambiare le cose prima che le cose cambino noi stessi e soprattutto i nostri figli.
Fare i cittadini attivi significa interessarsi della comunità dove si vive, mettere a disposizione competenze, passioni, conoscenze, agire collettivamente per cambiare la realtà nella quale si vive per renderla più giusta, solidale, vicina ai bisogni delle persone. E’ un impegno non facile, non scontato, non semplice. Questo impegno in Calabria è mancato perché ha vinto la logica della delega. Delegare ad altri, chiedere favori, pensare al proprio orticello senza avere una visione più ampia produce esattamente i risultati che abbiamo sotto gli occhi oggi in Calabria. Assenza di visione del futuro, mancanza della speranza, sfiducia verso tutte le istituzioni.
Ma, grazie all’articolo 118 della Costituzione, dobbiamo capire che i cittadini attivi che si prendono cura dei beni comuni sono classe dirigente di questo paese, sono responsabili come le istituzioni democraticamente elette di governo del paese, sono i primi sindaci delle proprie comunità. E non è un sogno o un’utopia. In Italia questo tipo di cittadino fa la differenza ogni giorno nella qualità della vita delle comunità locali. Esserci o non esserci fa una grande differenza.
In Calabria oggi, anche per cambiare la politica, anche per cambiare il mondo del lavoro e delle sue relazioni sindacali, c’è più bisogno di cittadini attivi disposti a scommettere su qualcosa di intangibile e di estremamente concreto come la cittadinanza attiva.
Anni fa un medico che fu chiamato a dirigere una ASL di Roma, Andrea Alesini, in un convegno ebbe a dire “Sembra assurdo che i servizi nati per l’uomo debbano essere ricondotti ad una dimensione umana perché l’hanno persa o mai l’hanno avuta. Eppure è questo l’unico obiettivo concreto rimettere gli uomini e le donne al centro del sistema. Ecco questo deve essere il compito di ogni cittadino calabrese oggi”.