Caporalato. Operazione “Confine”, in sette finiscono ai domiciliari
Associazione a delinquere finalizzata alla intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro ed altro: con questa accusa sette persone sono finite agli arresti domiciliari nel corso dell’operazione denominata “Confine”, portata a termine dai carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria. Le indagini che hanno condotto agli arresti sono iniziate due anni fa, esattamente nel 2013, allo scopo di contrastare il cosiddetto “caporalato”.
LO FRUTTAMENTO DI LAVORATORI EXTRACOMUNITARI
09:50 l I militari della Compagnia di Gioia Tauro, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori "Calabria" e della Compagnia Speciale del Gruppo Operativo Calabria di Vibo Valentia, hanno eseguito provvedimenti di sequestro preventivo di beni immobili, tra cui la società denominata "APO Calabria Società Cooperativa agricola a r.l.", e mobili, come i mezzi adoperati per il trasporto degli extracomunitari sui terreni, per un valore complessivo di circa 1 milione di euro.
I reati contestati sono dunque: associazione per delinquere finalizzata alla Intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro; reclutamento di manodopera clandestina di lavoratori extracomunitari privi di permesso di soggiorno o scaduto; violazione della normativa previdenziale di tutela dei lavoratori subordinati e truffa aggravata ai danni di enti pubblici.
AI CAPORALI IL 50% DI UN MISERO SALARIO
10:27 l L'indagine è stata condotta sotto il coordinamento di Luigi Iglio, Pm di Palmi. Gli inquirenti avrebbero documentato lo sfruttamento dei lavoratori che erano sottoposti al fenomeno del caporalato nella piana di Gioia Tauro. In pratica, un'attività di intermediazione con la quale si reclutava della manodopera giornaliera (spesso non specializzata), collocata presso i datori di lavoro, e facendosi poi pagare la stessa intermediazione dai lavoratori con una percentuale sulla loro retribuzione che, a volte, superava anche il 50 per cento di una già misera paga, che si aggira a poco meno di 50 centesimi a cassetta per la raccolta degli agrumi.
La presunta organizzazione criminale sarebbe stata formata da personaggi già noti agli inquirenti e, da quanto emerso, capace di garantire agli imprenditori, con continuità, forza lavoro che gli consentiva così di ottenere un ingiusto profitto derivante dallo sfruttamento della manodopera, straniera ed irregolare.
Gli inquirenti ritengono di aver definito sia i ruoli dei "Caporali" che dei datori di lavoro. Accanto allo sfruttamento di extracomunitari, soprattutto di origine nordafricana, sempre secondo gli investigatori vi sarebbe quello di persone provenienti da paesi comunitari, in maggior parte dall'est dell’Europa, come i cittadini bulgari.
I NOMI DEGLI ARRESTATI
I destinatari delle misure cautelari sono i rosarnesi Davide Madaffari, di 41 anni; suo cugino Alessandro Madaffari di 37 anni; Salvatore Di Bartolo di 40 anni; Giuseppe Ravalli di 26 anni; Vincenzo Consiglio di 43 anni; Mohammed Keita, 30enne presunto caporale del Mali e Filip Kuzev, 36enne presunto caporale della Bulgaria.