Traffico reperti archelogici, Dda presenta ricorso
Contro l'ordinanza del Gip distrettuale Abigail Mellace, che aveva rigettato le richieste della Procura distrettuale in relazione alle misure cautelari avanzate nei confronti di una presunta associazione per delinquere dedita al traffico di reperti archeologici, la Dda di Catanzaro ha presentato appello dinanzi al Tribunale del Riesame.
Si tratta, in particolare, dell’inchiesta denominata “Purgatorio 3”, eseguita nel luglio scorso dai carabinieri del Nucleo Tutela del patrimonio culturale di Cosenza e del Ros di Catanzaro e che portò all’arresto di sette persone (tre ai domiciliari e tre sottoposte al divieto di dimora nel comune di Vibo) accusati di traffico illecito di reperti trafugati dalle più importanti aree archeologiche della Calabria. Al vertice dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, vi sarebbe stato il presunto boss di Limbadi, Pantaleone Mancuso, 68 anni, detto "Vetrinetta".
Oltre che per il reato di associazione per delinquere semplice, la Dda aveva chiesto misure cautelari per l'ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa e l'aggravante delle modalità mafiose nella commissione di altri reati legati.
L'appello, proposto dalla Dda, riguarda cinque dei soggetti coinvolti: Giuseppe Tavella, 54 anni, di Vibo Valentia; i Francesco Staropoli, 56 anni, di Nicotera, commerciante di auto a Vibo Valentia, e Gaetano Scalamogna, 55 anni, avvocato di Vibo, entrambi ritenuti i presunti finanziatori dell'associazione; Pietro Proto, 53 anni, di Vibo Valentia e residente a Ricadi; Giuseppe Braghò, 68enne archeologo vibonese.