Inchiesta Assedio. Nella Capitale una “lavatrice” dei clan, dodici arresti
Dodici ordinanze cautelari hanno fatto finire stamani in carcere sei persone, mentre altre cinque sono state sopposte agli arresti domiciliari ed una è stata invece sospesa dal pubblico ufficio per un anno.
Gli interessati dalla misura sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata a commettere una serie indeterminata estorsioni, di usura, armi, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche dei proventi che si sospetta ottenuti illecitamente.
Tutti i reati contestati sono aggravati dall’agevolazione mafiosa, ovvero dall’aver “favorito” i clan della camorra campana dei Mazzarella-D’Amico e le cosche della ‘ndrangheta calabrese dei Mancuso e Morabito-Mazzaferro.
L’appello dell’Accusa
L’operazione si inserisce nel contesto dell’indagine Assedio condotta, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma, dal Centro Operativo Dia capitolino.
Il Tribunale del riesame ha difatti accolto l’appello presentato dalla Pubblica accusa in cui si contestavano agli indagati le motivazioni con cui il Gip romano, a fine giugno dell’anno scorso, aveva ravvisato le esigenze cautelari per diverse persone (QUI).
Il ricorso, divenuto definitivo a seguito anche della pronuncia della Corte di Cassazione, ha determinato oggi, quindi, l’emissione delle dodici ordinanze cautelari.
Il procedimento in parte è stato già definito in primo grado, per quanti hanno fatto ricorso al rito abbreviato, mentre per i restanti imputati si è in attesa di giudizio
L’operazione del 2024
Il blitz, che risale al luglio del 2024, fece ipotizzare che nella Capitale operasse una vera e propria “lavatrice” dei soldi “sporchi” della camorra e della ‘ndrangheta, dove qui convergevano gli interessi di alcune delle storiche e potenti famiglie criminali italiane e delle nuove mafie, in particolare il clan campano D’Amico-Mazzarella, quelli calabresi dei Mancuso e Mazzaferro, e la famiglia Senese.
Interessi che - sempre secondo gli inquirenti - avrebbero trovato un punto d’unione in settori particolarmente remunerativi, come quello del commercio illecito degli idrocarburi.
Sempre a Roma, poi, le due associazioni avrebbero riciclato ingenti somme di denaro, infiltrando progressivamente attività imprenditoriali in apparenza legali e che operavano in svariati settori come quelli della cinematografia, dell’edilizia, nella logistica, nel commercio di auto.