Roma “lavatrice” dei clan: camorra e ‘ndrangheta legate dal cinema e dai combustibili

Calabria Cronaca

Una “lavatrice per i soldi “sporchi della camorra e della ‘ndrangheta posizionata proprio al centro dell’Italia, nella Capitale: qui convergevano gli interessi di alcune delle storiche e potenti famiglie criminali del Paese e delle nuove mafie, in particolare il clan campano D’Amico-Mazzarella, quelli calabresi dei Mancuso e Mazzaferro, e la famiglia Senese.

Interessi che trovavano il punto d’unione in settori estremamente remunerativi, come quello del commercio illecito degli idrocarburi.

Secondo gli inquirenti, insomma, proprio a Roma avrebbero operato due associazioni a delinquere che attraverso una strategia di sommersione avrebbero riciclato ingenti somme di denaro, infiltrando progressivamente attività imprenditoriali in apparenza legali e che operavano in svariati settori: a parte quello degli idrocarburi, anche nella cinematografia, nell’edilizia, nella logistica, nel commercio di autovetture.

In questo contesto sarebbero state costituite numerose società “fittizie” per emettere false fatturazioni grazie al supporto fornito, tra gli altri, da imprenditori e da liberi professionisti.

È quanto ricostruito dagli investigatori della Direzione Investigativa Antimafia capitolina che, coordinati dalla Dda locale, stamani hanno fatto scattare le manette ai polsi di 18 persone - 16 finite in carcere e due ai domiciliari (QUI) - accusate a vario titolo di associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa, estorsione, usura, armi, fittizia intestazione di beni), riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego in attività economiche dei proventi illeciti; il tutto aggravato dalla finalità di aver agevolato proprio i clan Mazzarella-D’Amico, Mancuso, Mazzaferro e Senese.

IL CONTROLLO DEGLI IDROCARBURI

Per gli inquirenti, al vertice della seconda associazione, collegata evidentemente alla prima, ed attiva a Roma ed in altre regioni, si ritiene vi fossero Vincenzo Senese (figlio di Michele), Roberto Macori e Salvatore D’Amico.

Si ipotizza quindi l’esistenza di una complessa struttura organizzata che attraverso numerose società cartiere, finanziate dai clan campani e calabresi, avrebbe acquisito il controllo di depositi fiscali di idrocarburi, funzionali alla realizzazione delle attività di riciclaggio.

LA RETE DI SOCIETÀ CARTIERE

A capo della prima associazione, sulla quale si sono focalizzate le investigazioni fin dall'inizio, ovvero dal 2018 - vi sarebbero stati invece sono Antonio Nicoletti (figlio di Enrico Nicoletti) e Lombardi Pasquale, insieme a soggetti ritenuti “di qualificato rilievo” in seno alla criminalità campana, ovvero Salvatore D’Amico, il figlio Umberto, e Umberto Luongo.

La tesi è che grazie all’aiuto di numerosi soggetti appartenenti agli ambienti della criminalità autoctona romana e di matrice camorristica, sia stata creata una complessa rete di società “cartiere intestate a dei prestanome ed attraverso le quali riciclare ingentissime somme proveniente dai clan campani.

In questo contesto sarebbe emersa la figura del produttore cinematografico Daniele Muscariello (ritenuto fiduciario degli stessi clan) e del manager musicale Angelo Calculli.

LA “RISERVA DI VIOLENZA”

Parallelamente alla contestazione dei reati di natura economico-finanziaria, circostanziati anche dalle attività di accertamento fiscale delegate al Nucleo Pef della Guardia di Finanza di Roma, i componenti delle due organizzazioni sarebbero risultati dediti anche alla commissione di una serie di reati considerati in qualche modo strumentali ai primi, come l’estorsione e l’usura.

Secondo gli investigatori si tratta di “mezzi” che sarebbero stati usati per regolare partite di dare e avere tra loro o con terzi quanto per legare a sé gli imprenditori indispensabili per alimentare il profitto illecito. In questo contesto emerge la riserva di violenza delle due associazioni, sia per la forza di intimidazione derivante dagli stretti legami con le organizzazioni criminali mafiose che per l'immediata disponibilità di armi.

I SEQUESTRI

Sulla scorta di tutti gli elementi raccolti, dunque, il Gip del Tribunale di Roma, accogliendo la richiesta della Dia, ha emesso le ordinanze cautelari e autorizzato anche il sequestro preventivo ai fini della confisca di società attive nel settore cinematografico e il sequestro per equivalente fino alla concorrenza di oltre 130 milioni di euro, da eseguirsi nei confronti di 57 indagati.