Traffico di reperti archeologici: coinvolto il clan Mancuso, anche insospettabili colletti bianchi
Reperti archeologici trafugati negli anni dall'antica “Hipponion” di epoca greca attraverso dei tunnel sotterranei, profondi anche 30 metri e scavati dai tombaroli proprio nel cuore della città. Reperti che dopo essere spariti sarebbero stati piazzati sul mercato illegale, in particolare quello estero.
Un’organizzazione criminale che - secondo gli inquirenti - poteva contare anche su insospettabili colletti bianchi vibonesi e che stamani è al centro dell’operazione “Purgatorio” che ha portato i carabinieri del Nucleo Tutela del patrimonio culturale di Cosenza e del Ros di Catanzaro a eseguire l’arresto di diversi soggetti (sette in tutto: uno in carcere, tre ai domiciliari e tre divieti di dimora nel comune di Vibo valentia) accusati di traffico illecito di reperti archeologici trafugati dalle più importanti aree archeologiche della Calabria.
Eseguite inoltre trenta perquisizioni nelle province di Vibo Valentia, Catanzaro, Reggio Calabria, Napoli, Avellino, Roma e Asti (di cui undici a carico di altrettanti indagati e diciannove a carico di persone la cui posizione è tuttora in corso di più compiuta definizione da parte degli investigatori).
L’organizzazione è ritenuta dagli investigatori una "diretta espressione" della cosca di 'ndrangheta capeggiata dal presunto boss Pantaleone Mancuso, 68enne di Limbadi, detto "Vetrinetta", finito agli arresti.
Tre persone sono state invece sottoposte ai domiciliari: si tratta di Giuseppe Braghò, 68 anni, Francesco Staropoli, 56 anni e Giuseppe Tavella, 58 anni. Un divieto di dimora è stato infine disposto per altri tre: O.C. di 41 anni, L.F. di 47 e P.P. di 53 anni.
COINVOLTO PRESUNTO TRAFFICANTE SVIZZERO
In casa gli avrebbero trovato reperti arrivati direttamente della Calabria e pertanto sequestrati e riportati a “casa”. Per gli inquirenti sarebbe la persona interessata ai ritrovamenti nella nostra regione ed un trafficante internazionale di reperti archeologici: è finito così nell’inchiesta un cittadino svizzero la cui abitazione è stata sottoposta a perquisizione.
Durante le perquisizioni effettuate dai carabinieri in diverse province italiane, inoltre, ritrovati metal detector e materiale che sarebbe stato utilizzato dall'organizzazione per la ricerca delle antichità.
DAL GARAGE DI CASA AL SITO ARCHEOLOGIGO ATTRAVERSO UN TUNNEL
L’indagine è nata nel settembre del 2010 da una più ampia attività condotta dalla sezione anticrimine del Ros di Catanzaro nei confronti proprio del clan “Mancuso”, egemone nel vibonese, ed avrebbe consentito di identificare i presunti componenti di quello che viene definito un “ramificato sodalizio criminoso” operante in territorio interregionale (tra Calabria e Campania) e all’estero (in Svizzera). Il gruppo sarebbe stato dedito allo scavo ed alla successiva commercializzazione di reperti, provenienti principalmente dall’importante sito archeologico di “Scrimbia” (del VII Sec. A.c.), area sacra dell’antica città di Hipponion, denominazione dell’insediamento urbano della Magna Grecia che sorgeva nell’area dell’attuale Vibo Valentia.
Proprio in questa zona, nel dicembre del 2010, i militari del nucleo Tpc di Cosenza e del Ros di Catanzaro avevano individuavano uno scavo clandestino, consistente in un vero e proprio tunnel lungo circa 40 metri, adeguatamente puntellato, dotato di prese di areazione e di una pompa idrovora, che dal garage di una abitazione privata conduceva nel sottosuolo del sito vincolato. Nella galleria vennero rinvenuti migliaia di reperti fittili e varie attrezzature occorrenti per le operazioni di scavo, sottoposte a sequestro insieme al cunicolo.
Sequestrati anche numerosi reperti di notevole interesse storico-artistico e di rilevante pregio, recuperati in Svizzera.
I soggetti destinatari delle misure sono ritenuti dagli investigatori, a vario titolo, “partecipi e sodali all’organizzazione criminale riconducibile” a Mancuso, dedita “all’esecuzione di scavi clandestini, impossessamento di reperti archeologici con conseguente danneggiamento delle aree aggredite e ricettazione dei reperti illecitamente rinvenuti”.
L’operazione di oggi, coordinata dalla Dda di Catanzaro, in particolare dal procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e dal sostituto Camillo Falvo, sintetizza le risultanze di un particolare troncone di più ampie e complesse indagini svolte negli ultimi anni, finalizzate ad accertare l’attuale esistenza ed operatività della cosca “Mancuso”.
I MESSAGGI DEL BOSS IN CASSETTE DI ARANCE
17:42 l Il boss Pantaleone Mancuso comunicava con gli affiliati usando "Pizzini" nascosti nella frutta. Mancuso in questo modo avrebbe inviato messaggi e direttive ("’mbasciate") agli altri associati o a insospettabili professionisti vibonesi, occultati in cassette di arance. Secondo gli inquirenti il ruolo di emissari sarebbe, invece, spettato a Giuseppe Braghò e Giuseppe Tavella.