Arrestato presunto boss 88enne, sconterà ergastolo
Francesco Barbaro, presunto boss reggino 88enne, è stato arrestato a Platì in esecuzione di un provvedimento di pene concorrenti emesso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria. L’uomo, che dovrà scontare l’ergastolo, è accusato di essere l’esecutore dell’omicidio del brigadiere dei Carabinieri Antonino Marino, ucciso a Bovalino il 9 settembre 1990.
Il provvedimento fa seguito al rigetto della 6 sezione della Corte di Cassazione al ricorso proposto dagli avvocati dell’arrestato contro la sentenza del 16 giugno sorso, quando i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria hanno condannato Barbaro e Antonio Papalia (75 anni) a 30 anni di reclusione: rispettivamente sono ritenuti l’esecutore materiale e il mandante dell’efferato omicidio.
Barbaro, avendo già subito in precedenza una condanna a 25 anni di reclusione, poiché ritenuto responsabile di un sequestro di persona commesso tra il 9 ottobre 1981 ed il 14 marzo 1982, non ha potuto beneficiare dell’istituto del cumulo giuridico, scontando il residuo dei 30 anni, bensì, è stato sottoposto al carcere a vita (ai sensi del Codice Penale che prevede che “quando concorrono più delitti, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, si applica l’ergastolo”).
Impegnato principalmente nel contrasto alla ‘ndrangheta, il Brig. Marino, prima del suo assassinio, ha retto per molti anni il comando della Stazione Carabinieri di Platì. Profondo conoscitore della criminalità organizzata locale, ha svolto varie indagini su traffici illeciti e sui numerosi sequestri di persona che in quegli anni rappresentavano una delle principali attività criminali della zona, contribuendo ad assicurare alla giustizia diversi esponenti della ‘ndrangheta.
Il 9 settembre del ‘90, il brigadiere, mentre si trovava a Bovalino Superiore con la propria famiglia in occasione della festa patronale, fu avvicinato da un killer il quale, approfittando della confusione che regnava in paese e della concomitante esecuzione di uno spettacolo pirotecnico, gli esplose contro una decina di colpi di pistola, dileguandosi poi nel buio. Nell’agguato furono colpiti oltre al sottufficiale, all’epoca trentenne, anche la moglie incinta e il figlio Francesco (allora di appena un anno di vita e oggi Tenente nell’Arma dei Carabinieri).
Il 2 settembre 1993 a Marino è stata conferita la Medaglia d’oro al valor civile con la questa motivazione: “Comandante di Stazione impegnato in delicate attività investigative in aree caratterizzate da alta incidenza del fenomeno mafioso, operava con eccezionale perizia, sereno sprezzo del pericolo e incondizionata dedizione, fornendo determinati contributi alla lotta contro efferate organizzazioni criminali fino al supremo sacrificio della vita, stroncata da vile agguato. Splendido esempio di elette virtù civiche e di altissimo senso del dovere”; mentre il 30 settembre 2011 a Platì è stata intitolata alla sua memoria la locale caserma Carabinieri.
Le indagini sull’omicidio ebbero una svolta con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Cuzzola che aveva raccontato agli investigatori che erano stati proprio i Barbaro-Papalia ad ordinare l’uccisione del militare per vendicarsi dell’attività investigativa avviata dal Comandante di Stazione sulle cosche presenti nel piccolo comune aspromontano. La Cassazione, non condividendo l’assoluzione in Appello dei due imputati, rinviò nuovamente tutto a Reggio Calabria per una più approfondita valutazione. Fondamentali in tale ottica sono state alcune intercettazioni dell’inchiesta “Platino” relativa alla presenza della ‘ndrangheta in Lombardia, nelle quali si faceva proprio riferimento al brutale assassinio.