‘Ndrangheta. Cosca De Stefano, blitz nel reggino: cinque fermi

Reggio Calabria Cronaca

Cinque fermi di indiziato di delitto nei confronti di altrettanti presunti esponenti della cosca De Stefano di Reggio Calabria.

I provvedimenti - emessi dalla Direzione Distrettuale Antimafia - sono stati eseguiti stamani all’alba, nel corso dell’operazione “Il Principe”, dagli uomini della Squadra mobile e del Nucleo Investigativo dei Carabinieri del capoluogo.

I fermati sono accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione ed intestazione fittizia di beni, reati aggravati dalle finalità mafiose. Si tratta di Giovanni Maria De Stefano, detto “Il Principe” (39 anni); Fabio Salvatore Arecchi (38); Francesco Votano, detto “Ciccio” (27); Vincenzo Morabito, detto “Dino”(47) e Arturo Assumma (30).

L’operazione è il frutto di due distinte (ed originariamente autonome) attività investigative condotte dalla Mobile e dai Carabinieri: le prime erano incentrate sulla figura e sulle attività criminali di De Stefano, che è ritenuto il rampollo della famiglia rimasto in libertà, e che – secondo gli inquirenti - avrebbe governato territorialmente la cosca. L’altra indagine riguardava invece le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Enrico Derosa in relazione alle attività estorsive ai danni della Cobar Spa, azienda esecutrice dei lavori di ristrutturazione del Museo Archeologico della Magna Grecia di Reggio Calabria.

LA STRUTTURA DELLA COSCA E IL RAMPOLLO DELLA FAMIGLIA

Il coordinamento delle attività e la fusione degli esiti raggiunti avrebbe permesso di fotografare, e con chiarezza, i contorni della struttura dirigenziale territoriale della cosca De Stefano, da anni egemone nell’area cittadina, le modalità operative funzionali alla gestione dell’organizzazione di ‘ndrangheta, nonché di accertare nel dettaglio l’esecuzione di un’estorsione “protratta nel tempo ed esercitata con svariate modalità” ai danni dei rappresentanti dell’azienda.

Per gli investigatori, le indagini dimostrerebbero come la cosca agisse “con speciale autorevolezza criminale nella zona di centro della città”, utilizzando l’intimidazione. Peraltro, recentemente sono stati scarcerati Orazio e Paolo Rosario De Stefano (rispettivamente di 56 e 39 anni e il primo rimesso in libertà il 19 settembre del 2014, l’altro il 19 agosto scorso). Entrambi erano stati arrestati dopo lunghi periodi di latitanza, come il più grande dei figli del defunto “don Paolo”, ovvero Carmine De Stefano (47 anni), “che - sostengono sempre gli investigatori - aveva pienamente condiviso col più noto fratello Giuseppe (46 anni), gran parte delle vicende giudiziarie” riguardanti il clan ed ereditando insieme a quest’ultimo, la reggenza e la gestione criminale della cosca.

Nel periodo precedente alle scarcerazioni, un ruolo speciale sarebbe stato ricoperto da Giovanni Maria Destefano, figlio del defunto Giorgio ed unico rampollo della storica famiglia che - all’indomani della sua liberazione, avvenuta nel mese di settembre 2009 - l’avrebbe rappresentata sul territorio, assumendone la reggenza.

IL RUOLO DI GIOVANNI DE STEFANO

A Giovanni De Stefano (insieme a Vincenzino Zappia, già detenuto poiché arrestato dalla Polizia nell’ambito dell’Operazione “Il Padrino” del dicembre dello scorso anno), viene contestato il ruolo di capo e promotore con compiti di direzione, decisione, pianificazione e individuazione delle azioni e delle strategie del sodalizio. Per gli investigatori “assumeva le scelte più rilevanti in ordine alle concrete modalità di controllo e gestione delle molteplici attività economiche e degli esercizi commerciali esistenti o di nuova apertura” nel reggino. Inoltre “coordinava e pianificava le attività delittuose, anche di natura estorsiva, ai danni di ditte o imprese operanti nel territorio, reinvestendo i proventi” ottenuti illecitamente e destinando una parte degli stessi “a garanzia di un adeguato sostegno economico dei sodali detenuti e dei loro familiari”. Ed ancora: “dirimeva le varie problematiche ed i contrasti, interni ed esterni al sodalizio, anche in ordine alla suddivisione tra gli associati degli ingenti ricavi illecitamente prodotti ed accumulati. Cooperava costantemente anche con gli altri soggetti al vertice … ai fini della realizzazione del programma criminoso”.

“IL DIRIGENTE ORGANIZZATORE” E GLI INTERMEDARI

Un ruolo di primo piano gli investigatori lo attribuiscono poi a Demetrio Sonsogno (già detenuto perché arrestato nell’ambito dell’operazione Tatoo condotta dalla Mobile nel mese di novembre 2013). L’uomo è ritenuto il dirigente organizzatore, con compiti di diretto controllo e gestione delle attività estorsive - poste in essere direttamente e per il tramite di altri sodali - e d’infiltrazione degli interessi patrimoniali della cosca nell’economia lecita; nonché di controllo delle attività economiche avviate e da avviare, anche al fine di garantire il necessario sostegno ai massimi dirigenti della cosca detenuti ed ai loro familiari.

Nell’ambito della cosca, Fabio Salvatore Arecchi e Francesco Votano (insieme ad Enrico De Rosa, anche con compiti e condotte diverse,) avrebbero avuto invece un ruolo di partecipi, con il compito di fungere da intermediari tra i sodali e, in particolare, tra Giovanni De Stefano e gli altri associati, ricevendo e riportando svariati messaggi funzionali alla migliore operatività della cosca e collaborando fattivamente alle attività economiche intestate fittiziamente ad Arecchi, le cui sedi operative sarebbero state un punto logistico per lo scambio di messaggi e strumento di riciclaggio delle attività delittuose perpetrate dalla cosca.

L’ESTORSIONE ALLA COBAR SPA E I QUATTRO PAGAMENTI

Giovanni Maria De Stefano, Vincenzino Zappia, Demetrio Sonsogno, Vincenzo Morabito, Arturo Assumma (e Enrico De Rosa, per cui si è proceduto separatamente) rispondono anche dell’accusa di estorsione aggravata ai danni Cobar.

Sempre secondo la tesi degli inquirenti, “in tempi diversi e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso”, “con minacce e violente intimidazioni”, avrebbero costretto Vito Matteo Barozzi e la l’azienda di cui il Bariozzi è il titolare del 95% delle quote oltre che amministratore, a corrispondere, tramite un geometra, Domenico Trezza, ed in quattro distinte occasioni, somme di denaro di differente importo: in una prima occasione, sarebbero stati consegnati Vincenzo Morabito circa 15/20 mila euro, somma successivamente prelevata da Enrico De Rosa e da Sonsogno). In una seconda occasione sarebbero stati consegnati a Sonsogno e De Rosa, nei pressi di un ingresso laterale del Museo della Magna Grecia, circa 45/50 mila euro. Ci sarebbero poi altri due episodi: uno in cui a Enrico De Rosa sarebbero stati consegnati 50 mila euro (somma successivamente e da quest’ultimo corrisposta a Sonsogno) ed un'altra in cui Arturo Assumma ricevette tra i 50 e 60 mila euro circa che sarebbero stati poi prelevati da De Rosa e da questi passati a Sonsogno.

Giovanni Maria De Stefano e Fabio Salvatore Arecchi sono anche indagati per intestazione fittizia di beni. Sempre secondo gli inquirenti, in concorso fra loro e per “eludere le disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale”, De Stefano avrebbe attribuito fittiziamente ad Arecchi la titolarità formale dell’impresa individuale G.D.C. Distribuzione (che si occupa di “commercio all’ingrosso di caffè, zucchero, bevande ed alimenti vari”), contestualmente sottoposta a sequestro preventivo.ù

Il quadro complessivo delle risultanze investigative avrebbe consentito di ritenere sussistente il pericolo di fuga da parte di De Stefano, Morabito, Assumma, Votano e Arecchi, per questo nei loro confronti è stato emesso dalla Dda di Reggio Calabria il provvedimento di fermo di indiziato di delitto.

L’operazione “Il Principe” prende il nome dall’appellativo con cui i sodali erano soliti chiamare Giovanni Maria De Stefano.

(Aggiornata alle 14:15)