Clan Tripodi ala economica dei Mancuso, confiscati beni da 40 milioni di euro
Beni per una valore di circa 40 milioni di euro, ritenuti riconducibili alla cosca Tripodi, sono stati confiscati nel corso di una operazione condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Vibo Valentia e dai militari della Guardia di finanza che hanno eseguito, inoltre, dei provvedimenti di applicazione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno, a carico di presunti esponenti di vertice del sodalizio oltre che di alcuni sodali (di cui cinque detenuti e uno libero).
L’OPERAZIONE, denominata Libra Money, è stata eseguita in diverse località della provincia di Vibo Valentia e a Roma, Milano, Bologna, Monza, Padova e Messina. Le accuse a carico dei soggetti interessati sono di associazione di tipo mafioso, trasferimento fraudolento di valori, usura, estorsione, illecita detenzione di arma comune da sparo e frode nelle pubbliche forniture.
I beni sottoposti a confisca sono 13 aziende, tra cui alcuni bar e ristoranti nel centro della Capitale ed in provincia di Milano ed imprese edili operanti nel capoluogo lombardo, a Padova, Roma e Vibo Valentia; quote di società di Bologna, Roma e Vibo; 31 immobili, di cui 10 fabbricati di pregio a Milano e Roma e 21 terreni in parte in provincia di Roma ed in parte in quella di Vibo; 13 tra automezzi industriali ed autoveicoli. Il valore complessivo ammonta a circa 37 milioni di euro.
Secondo gli inquirenti (che hanno ricostruito le presunte attività illecite nell’arco temporale che va dal 2006 al 2012, definendone dinamiche interne ed esterne e i variegati interessi economici in diverse regioni) il clan Tripodi di Vibo Marina, frazione di Porto Salvo, sarebbe l'ala economico-imprenditoriale della cosca Mancuso di Limbadi. Per gli investigatori, la struttura della ‘ndrina, grazie al vincolo mafioso, avrebbe acquisito direttamente ed indirettamente la gestione o il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici, realizzando così ingiusti profitti o vantaggi.
Sempre in base alla tesi degli investigatori, attraverso società (che sarebbero direttamente riconducibili ad alcuni esponenti della cosca o intestate a prestanome) perlopiù operanti nell'edilizia, si sarebbe infiltrata nei lavori pubblici sulla costa del vibonese, in Lazio e Lombardia. Il clan avrebbe inoltre esercitato l’usura nei confronti di alcuni imprenditori (accertata in particolare nei confronti di un commerciante di autovetture del vibonese); estorsioni ad altri operatori economici, imposto il pagamento di fatture per prestazioni mai eseguite e l'acquisto di beni e servizi da ditte cosiddette “amiche”; tentando di acquisire anche appalti pubblici nel Lazio.
Il decreto, emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Vibo Valentia, discende dall’operazione Libra, condotta sempre nei confronti della cosca Tripodi e che, coordinata dalla Dda di Catanzaro (dal Procuratore Aggiunto Giovanni Bombardieri e dal Sostituto Pierpaolo Bruni) nel maggio 2013 portò al fermo di 20 di presunti capi e gregari.
Già nel 2014 venne eseguita una misura di prevenzione patrimoniale che riguardava beni e cespiti del clan riconosciuto come tale, per la prima volta in sede giudiziaria, nel febbraio 2015 a seguito della condanna inflitta dal Tribunale di Catanzaro ad elementi di spicco della ‘ndrina. Nel luglio del 2015 venne poi arrestato Salvatore Tripodi, latitante rintracciato dai militari nel suo covo di Zambrone, nel vibonese, insieme a due fiancheggiatori che furono fermati con l’accusa di favoreggiamento.