Maxi blitz, colpo alle cosche vibonesi: 23 fermi e sequestri per 70milioni
23 fermi eseguiti nei confronti di appartenenti alla ‘ndrangheta del vibonese collegati alla cosca Mancuso. Sequestrati beni per un valore di circa 70 milioni di euro. Perquisiti ex Amministratori Pubblici locali.
L’hanno chiamata operazione “Costa pulita” ed ha portato al fermo di 23 persone e al sequestro - secondo la normativa antimafia - di beni per un valore di circa 70 milioni di euro, tra cui oltre 100 immobili, quote societarie e rapporti bancari, due villaggi vacanze e tre compagnie di navigazione con altrettante motonavi che assicuravano, in regime di sostanziale monopolio, i collegamenti turistici con le isole eolie.
Le accuse nei confronti dei destinatari dei provvedimenti, emessi dalla Dda vanno, a vario titolo, dall’associazione per delinquere di stampo mafioso, all’estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti.
IL MAXI BLITZ è scattato all’alba nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Como e Monza e ad eseguirlo sono stati gli uomini delle squadre mobili di Vibo Valentia e Catanzaro, dello Sco, dei carabinieri di Vibo e Tropea e militari del Gico della Guardia di finanza di Catanzaro.
L’operazione è il risultato di indagini - svolte sotto la direzione dei sostituti procuratori Camillo Falvo e Pierpaolo Bruni e con il coordinamento del procuratore della repubblica ff di Catanzaro, Giovanni Bombardieri - convergenti su soggetti ritenuti appartenenti o comunque contigui alla potente cosca di ‘ndrangheta dei Mancuso e ai clan collegati degli Accorinti, La Rosa ed Il Grande, colpendone i presunti vertici e sodali.
L’indagine ha anche lambito contesti politici locali, in particolare di passate amministrazioni del comune di Briatico e Parghelia. Sono state infatti eseguite numerose perquisizioni nei confronti di soggetti diversi dai fermati ma coinvolti dalle indagini, con specifico riferimento ai risultati dell’accesso compiuto presso il Comune di Briatico, poi sciolto per mafia nel 2012. Gli inquirenti avrebbero documentato propositi di ritorsione, attuati nel 2011, attraverso una lettera minatoria contro un giornalista molto noto nel vibonese ed autore di articoli sulla mala gestione del municipio briaticese.
Nel corso dell’attività, supportata da intercettazioni telefoniche, ambientali e video riprese, sono state sequestrate diverse armi da fuoco e, già nel 2014, vennero arrestati in flagranza alcuni elementi di spicco delle cosche locali, che sarebbero stati in procinto di eseguire un attentato attraverso un potente ordigno esplosivo.
INDAGATO L’EX VICE SINDACO DI PARGHELIA
Tra i soggetti con responsabilità pubbliche sottoposti ad indagini, è emersa la figura dell’ex vice sindaco del Comune di Parghelia, Francesco Crigna (46 anni): secondo gli inquirenti sarebbe stato in stretto contatto con esponenti della famiglia Il Grande, referente, nel comune, della cosca Mancuso.
Gli investigatori sostengono che le imprese edili e di movimento terra ritenute facenti capo al clan Il Grande, dopo l’alluvione che colpì il piccolo centro del vibonese nel febbraio-marzo 2011, siano state affidatarie, in via quasi esclusiva, di una serie di lavori per il ripristino di strade e dell’alveo di torrenti, spesso assegnati indebitamente con una procedura di “somma urgenza” che avrebbe permesso, a discrezionalità del Comune, di scegliere l’azienda a cui assegnare i lavori.
Nel corso delle indagini sarebbe poi emerso che l’ex vice sindaco avrebbe attestato falsamente, in favore di un componente della famiglia Il Grande, il possesso dei requisiti necessari all’assegnazione di un alloggio da parte dell’Aterp di Vibo.
I presunti “favori” alla famiglia Il Grande - due membri della quale sono stati colpiti dal provvedimento di oggi – avrebbero avuto come contropartita l’impegno a reperire voti a favore dell’amministratore pubblico e di altri suoi alleati politici in occasione di consultazioni elettorali.
I NOMI DEI FERMATI
Questi i nomi dei fermati: Cosmo Michele Mancuso, già condannato come capo dell'omonimo clan di Limbadi; Salvatore Muzzopappa di Nicotera; i fratelli Davide e Federico Surace di Spilinga; Giovanni Rizzo di Nicotera; Antonino Accorinti di Briatico, indicato come a capo dell'omonimo clan; Antonio Accorinti, figlio di Antonino; Francesco Giuseppe Bonavita, detto "Pino", di Briatico; Leonardo Melluso di Briatico ed i figli Emanuele e Simone Melluso; Nazzareno Colace di Portosalvo, frazione di Vibo Valentia; Giuseppe Evalto; Giuseppe Granato di Briatico; Adriano Greco di Briatico; Ferdinando e Carmine Il Grande di Parghelia; Gerardo La Rosa di Tropea; Giancarlo Loiacono di Zambrone; Francesco Marchese di Briatico; Pasquale Prossomariti; Salvatore Prostamo di Briatico; Carlo Russo di Zambrone.
IL GIORNALISTA NEL MIRINO DEL CLAN
Il giornalista nel mirino del clan Mancuso era Pietro Comito che avrebbe attirato le ire della cosca con una serie di articoli sul comune di Briatico, poi commissariato. Gli inquirenti ritengono infatti di avere identificato i presunti responsabili delle intimidazioni. Il giornalista - che ricevette una lettera anonima con gravi minacce di morte - aveva denunciato malversazioni e contiguità fra gli amministratori di allora e le cosche della zona.
NEL NEGOZIO LA CENTRALE OPERATIVA DEL BOSS
L’attività ha consentito di individuare un esercizio pubblico di Nicotera Marina abitualmente frequentato da Pantaleone Mancuso (54 anni) dello “Luni Scarpuni. Qui, malgrado fosse sottoposto in quel periodo al regime della sorveglianza speciale, il presunto boss del clan avrebbe pianificato diverse attività delittuose, “esercitando – secondo gli inquirenti - una pervasiva e soffocante azione di condizionamento dell’economia della zona costiera” comprendente rinomati luoghi d’interesse turistico.
Nell’esercizio commerciale avrebbe incontrato una vasta schiera di soggetti a capo di altre e subordinate articolazioni mafiose ed imprenditori che gli si rivolgevano per il classico pagamento del “pizzo” o per concordare modi e tempi della conduzione di importanti affari che famiglia finiva così per controllare.
Monitorando, con intercettazioni ambientali il locale, sarebbe stato così possibile accertare, tra l’altro, la presenza della ‘ndrangheta dietro al business delle minicrociere; parallelamente si sarebbe stata fatta luce su alcuni danneggiamenti compiuti ai danni di esercenti e privati cittadini per assumere il controllo, in regime di monopolio, del trasporto marittimo “Tropea-Isole Eolie” e di villaggi turistici della costa oltre che per convogliare lavori pubblici e privati verso ditte collegate al sodalizio.
I PROGETTI PER RAFFORZARE LA FAMIGLIA
Secondo gli inquirenti l’intenzione di Mancuso era di eliminare fisicamente soggetti e gruppi antagonisti, percepiti come ostacoli all’affermazione del predominio della cosca, delineare una strategia di rafforzamento della famiglia e di riavvicinamento dei vari appartenenti, che sarebbero a loro volta referenti di altrettanti gruppi familiari, dediti a diverse attività delittuose nelle proprie zone d’influenza, sempre sotto l’egida del clan Mancuso.
IL CLAN IL GRANDE E GLI INTERESSI NEL TURISMO
Le indagini hanno riguardato, come dicevamo, anche la cosca Il Grande, attiva a Parghelia, prendendo origine dalla denuncia di una serie di danneggiamenti avvenuti nel 2009 presso un villaggio turistico del comune costiero del vibonese. Da qui si sarebbe riscontrato “il particolare interesse” della “famiglia” Il Grande per il controllo delle attività turistiche del loro territorio, controllo attuato sia eseguendo lavori all’interno delle strutture ricettive acnhe con “l’imposizione della propria massiccia presenza tra i dipendenti di diversi villaggi”.
Il Clan, con la complicità di dirigenti del Comune di Parghelia – sostengono ancora gli investigatori – si sarebbe accaparrato tra il 2009 ed il 2012, numerosi appalti pubblici pretendendo, senza alcun titolo, che le ditte appaltatrici attive nella zona versassero alla “famiglia” stessa una parte del ricavato.
IL PORTO DI VIBO E LA ZONA INDUSTRIALE DI PORTO SALVO
Altre significative risultanze sarebbero state acquisite a carico di Nazzareno Colace, ritenuto il referente di Pantaleone Mancuso per la zona del porto di Vibo Marina e della zona industriale di Porto Salvo. Proprio in quest’ ultimo sito il Colace avrebbe esercitato la propria forza intimidatrice nei confronti di almeno tre imprenditori con lo scopo di dar desistere il primo dal proseguire un’attività economica che era in concorrenza con quella di alcuni membri della sua famiglia, e minacciando il secondo di non fargli rilasciare le autorizzazioni amministrative necessarie all’avvio di una rilevante iniziativa, a meno che non avesse accettato la partecipazione sua e quella del capo cosca dei Mancuso alla nascente attività; intervenendo poi su un terzo imprenditore, titolare di una ditta di trasporti per farlo recedere dall’eseguire una commessa vantaggiosa e così fine ottenere ad una ditta compiacente.
IL BUSINESS DELLE MICROCROCIERE
Tra i beni sequestrati vi sono poi tre motonavi utilizzate nel settore delle minicrociere alle Isole Eolie. Il controllo di questo affare da parte delle cosche sarebbe apparso rilevante al punto da impedire la costituzione di un consorzio per la loro gestione con l’intervento di imprenditori partenopei e per evitare la divisione degli utili con terzi estranei.
Nel corso delle investigazioni sono state acquisite informazioni in base alle quali, anche solo l’ipotesi che i titolari di strutture ricettive potessero rivolgersi ad altri invece che alle compagnie di navigazione controllate dalle cosche, avrebbe fatto scattare propositi bellicosi da parte dei boss, pronti a sottolineare che in casi del genere, peraltro dagli stessi ritenuti assai improbabili, al malaccorto imprenditore sarebbe piuttosto convenuto abbandonare il territorio per non incorrere nelle loro ire.
Sarebbe emerso, in pratiche, che le ‘ndrine avevano imposto il loro giogo nel settore sia nei confronti degli altri rappresentanti delle società di navigazione, sia nei confronti dei vari gestori delle strutture ricettive, di fatto spesso costretti ad indirizzare i propri clienti esclusivamente verso le società di navigazione controllate dalle organizzazioni mafiose.
INDAGATO ANCHE IL PRESIDENTE DELLA PROVINCIA
Anche il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Andrea Niglia, risulta indagato nell'operazione di oggi in qualità di sindaco del centro del Vibonese. Insieme a Niglia, sono indagati anche diversi esponenti politici accusati, a vario titolo, di aver agevolato il clan di Briatico al cui vertice è il presunto boss Antonino Accorinti. Tra questi: l'ex sindaco di Briatico Francesco Prestia; l'ex assessore comunale Domenico Marzano; l'ex consigliere comunale Sergio Bagnato; l'ex consigliere comunale di Vibo Valentia Giancarlo Giannini; il direttore della filiale della Banca popolare di Maierato, Ernesto Clerici; i dipendenti della Capitaneria di Porto di Vibo Marina Aldo Gallucci e Domenico Grillo; l'imprenditore di Briatico (che è stati arrestato) Giuseppe Granato; l'ex vicesindaco del Comune di Parghelia, Francesco Crigna. Altri amministratori sono indagati invece per presunti rapporti con il clan Il Grande di Parghelia.
(Aggiornata alle 12:30)