Colpo ai beni della ‘Ndrangheta, sequestri ad un presunto boss del cosentino
Un sequestro di beni immobili, mobili e di disponibilità finanziarie, per un valore di circa un milione di euro, è stato eseguito stamani nei confronti del presunto reggente di una cosca di ‘ndrangheta cosentina e di un suo parente, anch’egli considerato associato al clan mafioso.
L’operazione è stata eseguita dai finanzieri del Comando Provinciale di Cosenza e la misura di prevenzione è stata disposta dal Tribunale su richiesta del Procuratore Capo della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, e della Dda del capoluogo di regione. Il provvedimento, previsto dal Codice Antimafia, è finalizzato al sequestro per la successiva confisca. In particolare ha riguardato oltre ad immobili anche quote sociali, una società ed un’autovettura.
A seguito di indagini patrimoniali - coordinate dal Procuratore Gratteri, dall’aggiunto presso la Dda, Giovanni Bombardieri, e dal Sostituto Pierpaolo Bruni – la Finanza di Cosenza ha sequestrato il patrimonio di Francesco Patitucci, presunto esponente di spicco del clan Ruà-Lanzino e di un suo parente, Giuseppe De Cicco, considerato vicino alla stessa cosca.
Il presunto reggente del clan si trova attualmente detenuto presso la casa circondariale di Terni per violazione degli obblighi della sorveglianza speciale e per violazione della legge sulle armi. Patitucci è stato già condannato per associazione mafiosa e reati connessi con sentenze di primo e secondo grado (divenuta irrevocabile nel 2015) nelle quali è stato condannato per appartenenza alla cosca “Lanzino-Rua” e riconosciutone il “reggente” della stessa, nonché per estorsione e usura.
Inoltre Patitucci era già stato condannato poiché ritenuto appartenente al clan “Pino-Sena”, con una sentenza della Corte di Assise d’Appello di Catanzaro, divenuta irrevocabile nel 2000. De Cicco, invece, è legato da stretti rapporti di natura familiare con il presunto boss ed è considerato come intraneo alla cosca, prevalentemente con compiti di riscossione dei proventi derivanti dell’usura.
Gli accertamenti patrimoniali eseguiti nei loro confronti e dei congiunti avrebbero permesso di appurare, nel periodo 2002/2013, una netta sproporzione delle movimentazioni economico-finanziarie in uscita (ad esempio, acquisti di immobili) rispetto ai redditi dichiarati, che gli inquirenti considerano persino insufficienti per le esigenze primarie di vita.
L’esecuzione del provvedimento ha portato dunque al sequestro di 4 fabbricati turistico-residenziali, in provincia di Cosenza; una società di capitale, con 10 mila quote sociali e relativo complesso aziendale che opera nel settore delle costruzioni di edifici; un automezzo; diversi rapporti bancari; il tutto, come dicevamo, per un valore complessivo stimato in un milione di euro.
(ultimo aggiornamento 10:37)