Il monopolio del clan sul pesce, turismo e droga: 58 arresti, decimata la cosca Muto

Cosenza Cronaca

È scattato alle prime ore di questa mattina il blitz del Ros che sta eseguendo, tra le province di Cosenza e Salerno e in altre località d’Italia, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dalla Dda di Catanzaro, nei confronti di 58 persone indagate tra l’altro per associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione e rapina.


Al centro delle indagini che hanno portato al mega blitz, denominato operazione “Frontiera”, vi è una delle cosche di ‘ndrangheta considerata tra le più pericolose e violente, quella cioè che avrebbe a capo il presunto boss Francesco Muto, di Cetraro, detto il “re del pesce”, finito in arresto insieme ai figli Luigi e Mary (detta Mara).

Alcune delle ordinanze sono state notificate in carcere a diversi pregiudicati che sono ritenuti intranei o vicini al clan. Coinvolto anche Maurizio Rango, già detenuto, esponente di spicco delle cosche cosentine. I carabinieri stanno eseguendo, ancora adesso, diverse perquisizioni in vari luoghi della provincia.

Per gli inquirenti il clan cosentino avrebbe monopolizzato, per oltre 30 anni, le risorse economiche del territorio curando fino al dettaglio la commercializzazione dei prodotti ittici e, in un’area a forte impatto turistico, i servizi di lavanderia industriale delle strutture alberghiere e della vigilanza dei locali d’intrattenimento della fascia tirrenica cosentina e del basso cilento.

Parallelamente, le investigazioni hanno documentato un importante traffico di stupefacenti, che sarebbe stato sotto il controllo del clan Muto, e che avrebbe inondato di cocaina, hashish e marijuana le principali località balneari sempre della costa tirrenica, tra cui le note mete turistiche di Diamante, Scalea e Praia a Mare. Sequestrati contemporaneamente beni per circa 7 milioni di euro.

L’OMICIDIO DI ANGELO VASSALLO

I provvedimenti scaturiscono da un’indagine che è stata avviata nel settembre del 2014, successivamente all’omicidio del sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, 63enne, assassinato durante un agguato ad opera di ignoti il 5 settembre 2010, nella frazione di Acciaroli. In quella fase sono state avviate indagini per accertare l’operatività nel Cilento e nel Vallo di Diano di articolazioni della cosca Muto attive nel settore del narcotraffico.

L’attenzione è stata focalizzata sul conto di Vito Gallo di Sala Consilina, che sarebbe stato in storici rapporti criminali con Francesco e Luigi Muto di Cetraro, nonché con Pietro Valente, rappresentante della ‘ndrina di Scalea, federata agli stessi Muto; da una parallela attività investigativa avviata dai Carabinieri della Compagnia di Scalea proprio sui traffici illeciti di cocaina, hashish e marijuana che il clan Muto avrebbe gestito sull’intera costa dell’alto tirreno cosentino, dove avrebbe potuto contare su un fiorente mercato legato alla presenza di migliaia di turisti nelle note località estive di villeggiatura, Scalea, Diamante e Praia a Mare. Durante l’inverno il mercato della droga sarebbe rimasto comunque attivo poiché i clienti sarebbero arrivati anche dalla vicina Basilicata e le dismesse abitazioni estive sarebbero state usate come depositi di stupefacente.

Sulla base dei preliminari elementi raccolti, attualizzata la presunta dipendenza gerarchico-criminale di Vito Gallo dai Muto, nel marzo 2015, con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo, la manovra investigativa convergeva sul distretto catanzarese, per aggredire – nelle intenzioni degli inquirenti - il centro decisionale dell’articolazione ‘ndranghetista, e sviluppandosi sotto la direzione di Nicola Gratteri, Procuratore Capo della Repubblica di Catanzaro, dei Procuratori Aggiunti Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto, e dei Sostituti Procuratori Pierpaolo Bruni e Alessandro Prontera.

IL MONOPOLIO DEL “RE DEL PESCE”

È stata così delineata l’operatività di un sodalizio mafioso che farebbe capo a Francesco Muto, dedito principalmente ad attività di narcotraffico ed al pervasivo sfruttamento delle risorse del territorio di diretta influenza, attraverso una serie di attività fittiziamente intestate a prestanomi mediante le quali avrebbero assunto il controllo monopolistico di importanti settori commerciali, quali: il mercato ittico, ambito nel quale il Muto viene considerato “re del pesce”, essendo stato indagato e più volte condannato, fin dalla fine degli anni ’70, per aver avviato un vero e proprio controllo dell’offerta e della domanda di pescato nell’alto tirrenico cosentino, cosa che sarebbe avvenuta, secondo gli investigatori, tramite l’impresa individuale Eurofish di Andrea Orsino, 46enne genero di Muto, già confiscata nel 2006 ma ancora nella disponibilità dei Muto “per la documentata connivenza degli amministratori giudiziari” secondo gli investigatori, attraverso la quale l’organizzazione avrebbero garantito il monopolio dell’offerta di pescato, imponendo modalità, tempi e tipologia di prodotti ittici da immettere sul mercato, garantendosene l’esclusivo conferimento da parte delle flottiglie locali di pescatori.

Sono inoltre emersi i rapporti con la grande e media distribuzione, nonché con i ristoratori e albergatori della riviera settentrionale cosentina, ai quali i prodotti ittici venivano distribuiti e commercializzati in assenza di concorrenza. Il controllo ‘ndranghetistico nel settore sarebbe stato assicurato ulteriormente dalla gestione diretta dei punti vendita al dettaglio e dalle imposizioni estorsive agli imprenditori più “resistenti”.

Gli inquirenti, pertanto, avrebbero rilevato l’estorsione che sarebbe stata perpetrata da Vito Gallo e Pietro Valente, tra il 2013 ed il 2014, ai danni di un imprenditore salernitano, titolare di più supermercati del marchio Conad nel comprensorio di Sala Consilina, per assicurare ai Muto la gestione della pescheria interna al Centro Commerciale di Sant’Arsenio, oggetto anche di un attentato dinamitardo lo stesso giorno della sua inaugurazione. Un’altra estorsione sarebbe quella dell’inverno 2015, sempre da parte di Gallo e Luigi Sarmiento, ai danni del titolare di un supermercato Conad di nuova apertura a Scalea, per acquisire la gestione della pescheria interna; l’apertura di varie rivendite di pesce da parte degli indagati i quali, intestando le stesse a congiunti e prestanome, si sarebbero assicurati una significativa fetta dell’offerta al dettaglio di prodotti ittici, eludendo le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione ed agevolando la consorteria di ‘ndrangheta di appartenenza.

IL SETTORE DELLA LAVANDERIA INDUSTRIALE E DI VIGILANZA

Poi vi sarebbero i servizi di lavanderia industriale, gestiti dall’indagato Antonio Mandaliti, 59enne, presunto elemento di vertice della cosca Muto: attraverso l’impresa individuale intestata alla moglie Maria Iacovo, avrebbe fornito le proprie prestazioni ai numerosissimi alberghi, ristoranti, resorts e villaggi turistici nel territorio criminalmente controllato dal sodalizio, imponendo contestualmente l’approvvigionamento di prodotti ittici presso l’impresa dei Muto. Infine, i servizi di vigilanza e sicurezza dei locali di intrattenimento sulla riviera settentrionale tirrenica, attraverso una serie di fidati imprenditori di settore che avrebbero assicurato al sodalizio contrada “degli zingari” di Cosenza ed agli stessi Muto la ripartizione di queste attività, imponendo ai titolari di locali e discoteche il numero di buttafuori ed addetti, nonché il costo delle prestazioni di ciascuno di essi.

IL NARCOTRAFFICO

L’indagine avrebbe inoltre documentato, anche attraverso una serie di mirati interventi repressivi, un’intensa attività di narcotraffico realizzata dagli appartenenti alla cosca Muto principalmente su due piazze di spaccio individuate nei centri di Sala Consilina (Salerno) e Praia a Mare (Cosenza), sfruttando diversificati canali di approvvigionamento, utilizzati in base al tipo di sostanza commercializzata, tra i quali quelli con il clan camorristico dei Nuvoletta di Marano di Napoli e con altri sodalizi del comprensorio vesuviano. La cocaina sarebbe stata custodita a Cetraro e poi ceduta, in quantitativi variabili, ai vari rappresentanti di zona, operativi nella gestione di singole piazze di spaccio.

Sono stati inoltre accertati, soprattutto nella stagione estiva, gli interessi della cosca Muto anche per la coltivazione di canapa indiana sugli estesi contrafforti appenninici dei comuni interni della provincia settentrionale tirrenica cosentina. Nel corso delle indagini tecniche-intercettive svolte nell’estate del 2015 sarebbe stato infatti localizzato un significativo appezzamento di terreno coltivato con canapa indiana, nel comprensorio di Buonvicino (CS) e nella mattinata del 29 settembre 2015 sarebbero stati arrestati 3 soggetti recatisi a mietere il raccolto, successivamente quantificato in 336 piante con la massima percentuale di principio attivo. Nel corso della perquisizione, all’interno di un manufatto, vennero ritrovate e sequestrate numerose armi e munizioni, tra le quali un fucile a canne mozze, cinque pistole (tutte con matricola abrasa), un pugnale da caccia, quattro ordigni artigianali, esplosivo da cava e miccia detonante.

LE RAPINE AD UFFICI POSTALI E BANCHE

Gli investigatori ritengono che la centralità della cosca di Cetraro nel mercato dello stupefacente dell’alto tirreno sia confermata, come già detto, da pregresse e contemporanee indagini della Compagnia di Scalea le cui risultanze avrebbero consentito di arrestare oggi 14 indagati. Le attività avrebbero infine consentito di individuare anche un gruppo di fuoco dedito alle rapine presso uffici postali ed istituti di credito del territorio controllato dalla cosca Muto, documentando finanche le fasi di preparazione di uno di questi assalti, programmato presso l’Ufficio Postale di Sangineto dove, il 4 giugno 2015, nell’imminenza dell’azione delittuosa, sarebbe stato promosso un intervento preventivo che avrebbe consentito l’arresto in flagranza di 7 rapinatori ed il sequestro di armi con matricola abrasa complete di munizionamento, giubbetti antiproiettile, indumenti per il travisamento, materiali da sfondamento e 2 autovetture di provenienza furtiva.

In conclusione, l’indagine ha azzerato il presunto vertice della storica cosca tirrenica, disarticolando uno dei sodalizi ndranghetisti ritenuti maggiormente violenti e pericolosi “che sin dagli anni ’70 si sarebbe distinto per tracotanza e violenza, imposta anche alle compagini criminali dei limitrofi territori del basso cilento dove avrebbe esteso da tempo la propria influenza”.

(ultimo aggiornamento 13:51)