Furti d’auto e ‘cavallo di ritorno’, ricettazione e riciclaggio: sei arresti
Si chiama “The Jackal”, tradotto letteralmente “Lo sciacallo”, l’operazione scattata all’alba di stamani e con la quale la polizia di Catanzaro, con l’aiuto dei colleghi del Reparto Prevenzione Crimine “Calabria Centrale” di Vibo Valentia, ha eseguito sei misure cautelari a carico di altrettanti pregiudicati catanzaresi accusati, a vario titolo, di furto aggravato, porto e detenzione di armi, ricettazione, riciclaggio ed estorsione.
Le sei misure hanno così raggiunto Alessandro e Stefano Bevilacqua, rispettivamente di 31 e 29 anni; Elio Pirroncello, 24 anni; Francesco Martino, 46 anni; Antonio e Annunziata Passalacqua, di 43 e 50 anni.
Le indagini - condotte dalla Squadra Mobile e coordinate dal Procuratore Aggiunto Giovanni Bombardieri e dal Pm Vito Valerio con la supervisione del Procuratore Capo Nicola Gratteri - avrebbero consentito di accertare l’esistenza di un gruppo di persone responsabili di reati in materia di armi ma anche di furti di ogni specie di beni, con una certa predilezione per le autovetture destinate poi ad estorcere denaro ai rispettivi proprietari.
In quest’ambito gli investigatori avrebbero accertato il coinvolgimento di alcuni dei soggetti in un episodio che risale a più di due anni fa, al dicembre del 2014, quando i malviventi entrarono in un’abitazione di Catanzaro e portarono via numerose armi custodite in una cassaforte.
È emerso, inoltre, che gli indagati, spesso, avrebbero costretto i proprietari delle auto rubate a pagare un “riscatto” per riavere il loro veicolo; in pratica il noto sistema del “cavallo di ritorno”. Inoltre avrebbero gestito un fiorente commercio di merce trafugata via via piazzata ad acquirenti incauti o poco scrupolosi.
I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE
Secondo gli investigatori, i reati contestati sarebbero stati effettuati utilizzando diversi complici. In pratica, ci si impadroniva di qualsiasi di merce di un valore che potesse garantire un guadagno immediato. In particolare spiccano i furti di armi (da cui la contestazione della detenzione, trasporto e rivendita illegale o la detenzione con lo scopo di utilizzarle in altre attività delittuose) e di autovetture.
Una volta trafugati i beni venivano poi messi in commercio: nel caso della armi con una compravendita illegale, per le auto estorcendo i derubati facendogli pagare un riscatto per riottenere la vettura.
I DETTAGLI
L’indagine ha preso le mosse da un fatto grave avvenuto nel dicembre del 2014, quando un gruppo di malviventi entrò in un’abitazione di Catanzaro portando via 6 fucili, 3 pistole e 10 cartucce - in perfetto stato d’uso - detenuti legittimamente e custoditi dal proprietario in una cassaforte.
Nel corso delle investigazione emerse che i malviventi avevano commesso il furto scassinando l’auto del derubato mentre questi era dal barbiere e si erano appropriati di un mazzo di chiavi, tra le quali quelle dell’abitazione della vittima e quelle dell’armadietto blindato dove teneva le armi.
Gli investigatori ascoltarono allora persone informate sui fatti ed acquisirono i filmati registrati da alcune telecamere presenti nei pressi del luogo. Grazie alla riprese della videosorveglianza di alcuni negozi riuscirono così a ricostruire l’accaduto, il percorso seguito dai malfattori; insomma le diverse fasi del furto delle armi e la presunta responsabilità dei sei arrestati di oggi.
La Squadra Mobile aveva poi eseguito delle altre indagini che avrebbero confermato agli inquirenti che l’azione era stata messa a segno da un gruppo criminale “avvezzo alla commissione di delitti predatori di ogni tipologia e munito illegalmente di armi da sparo”.
L’abitudine degli indagati a circolare armati, inoltre, sarebbe stata dimostrata da ulteriori indagini: intercettazioni di vario tipo avrebbero registrato delle conversazioni dalle quali emergerebbe il possesso, da parte di Alessandro Bevilacqua, di una pistola calibro 38 che avrebbe esibito al fratello Stefano dicendogli: “guarda che bella la 38”.
In un’altra circostanza, spiegano gli inquirenti, sarebbe stato accertato anche che Alessandro Bevilacqua avrebbe ceduto ad un terzo un’arma del cui cattivo funzionamento, peraltro, l’acquirente si sarebbe lamentato, sostenendo che si era inceppata, ed ottenendo la disponibilità del 31enne a sostituirgli il pezzo difettoso.
IL SISTEMA DEL “CAVALLO DI RITORNO”
Quando alle auto rubate, gli investigatori avrebbero accertato come gli indagati abbiano costretto i proprietari delle vetture a subire il cosiddetto “Cavallo di ritorno”, ovvero a pagare un “riscatto” per tornare in possesso del veicolo; così come si sarebbe accertato che il gruppo avrebbe gestito un fiorente commercio di quanto rubato poi piazzato ad acquirenti all’oscuro dell’eventuale provenienze.
In effetti, in numerose conversazioni telefoniche intercettate si evincerebbe, dalla voce dell’indagato Elio Pirroncello, il suo presunto coinvolgimento nelle operazioni di recupero delle autovetture dietro il pagamento di somme che in media si aggiravano intorno ai 500 Euro.
“UN VERO E PROPRIO SISTEMA DI VITA”
Gli investigatori sostengono che le attività illegali contestate sarebbero state un “vero e proprio sistema di vita”, elemento che troverebbe riscontro nelle intercettazioni eseguite quotidianamente ed in cui si parla di programmazione ed esecuzione di reati o della messa a frutto dei proventi degli stessi con l’aggravante di aver coinvolto, in diverse occasioni, anche minorenni, “divenuti abilissimi e scaltri complici dei loro più navigati correi”, o addirittura di giovanissimi, come nel caso di due bambini esortati e istruiti a rubare in un negozio beni di scarsissimo valore commerciale, dandogli delle indicazioni operative come quella di fare attenzione alle telecamere di videosorveglianza.
(Aggiornata alle 12:30)