Sigilli all’impero oleario e alberghiero di Oliveri, confiscati beni per 324 milioni

Reggio Calabria Cronaca

Una maxi confisca da 324 milioni. Questo il valore dei beni, già sequestrati in passato, ed oggi cautelati dalla Dia ad uno degli imprenditori più importanti della piana di Gioia Tauro i cui interessi economici si estendono anche fuori dai confini regionali.


La confisca in questione, disposta dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, riguarda il patrimonio del defunto Vincenzo Oliveri, noto imprenditore nel settore oleario con proiezioni di tutto rilievo sia nel settore alberghiero che in quello immobiliare e dei servizi tanto in Calabria - nella piana di Gioia Tauro e in provincia di Catanzaro - ma anche in Abruzzo e Toscana.

Oliveri, da tempo stabilitosi a Giulianova, era socio in numerose iniziative imprenditoriali avviate già nei primi anni ‘80 e culminate con la costituzione di un vero e proprio impero imprenditoriale, il cosiddetto “Gruppo Oliveri”, le cui attività, partendo dal appunto dal settore oleario, si erano diversificate nel tempo, soprattutto in quello alberghiero di lusso.

Sin dagli anni ’80, poi, risultava coinvolto in diversi procedimenti penali per reati associativi finalizzati alle truffe aggravate, alla frode in commercio, all’emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti; procedimenti finiti in prescrizione.

Vincenzo Oliveri è stato poi arrestato, il 26 luglio del 2010, per associazione a delinquere, truffa aggravata ed altro, in relazione a contributi ottenuti da aziende del gruppo grazie alla legge 488.

Con la confisca di oggi, la Corte d’Appello dello Stretto ha confermato integralmente quanto disposto da un decreto precedente, del 29 gennaio 2016, a carico di Vincenzo, Giovanni e Matteo Giuseppe Oliveri e di Domenica Rosa Carnovale.

I giudici di secondo grado, in pratica, hanno condiviso e convalidato le conclusioni raggiunte dal Tribunale in ordine alla eccezione di incompetenza funzionale dell’autorità giudiziaria di Reggio Calabria in favore di quella di Teramo, avanzata dallo stesso imprenditore.

È stato ribadito, cioè, che il centro decisionale ed operativo delle aziende riconducibili a Oliveri o ai terzi, è “sicuramente da individuarsi nel territorio di Gioia Tauro”. Confermato anche il requisito della pericolosità sociale dell’uomo (di tipo semplice, secondo il Codice antimafia).

Nella vicenda in questione, i giudici sostengono che “non vi è dubbio che la storia giudiziario-imprenditoriale di Vincenzo Oliveri comprovi come costui sia stato abitualmente dedito a traffici delittuosi ed abbia vissuto abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.

Anche in relazione al versante patrimoniale della proposta avanzata dalla Dia, la Corte ha messo in evidenza che, a fronte della presunta pericolosità sociale di Oliveri, “è del tutto consequenziale che quanto finanziariamente lucrato mediante quell’attività fraudolenta è stato immesso nel circuito produttivo della costellazione di aziende che costituivano l’universo imprenditoriale degli Oliveri, facendo sì che si attuasse quel meccanismo moltiplicatore che consente una crescita esponenziale dell’impresa, che altrimenti non avrebbe raggiunto quelle dimensioni notevoli che invece ha potuto conseguire” .

Infine, è stata riconosciuta la fondatezza dell’attività di analisi documentale svolta dalla Divisione Investigativa Antimafia che ha portato a determinare, attraverso i volumi di affari, “il valore medio della produzione per ettaro coltivato”, elemento questo ritenuto indispensabile per rappresentare, nel modo più realistico possibile, la reale capacità economica dell’imprenditore, “arrivando così a riscontrare l’inattendibilità del volume d’affari dichiarato dall’appellante”.

I BENI CONFISCATI

Pertanto è stata disposta e confermata la confisca di 15 società nei settori agricolo-oleario, turistico-alberghiero, immobiliare e dei servizi; di 88 immobili, tra cui spiccano gli edifici sede degli alberghi, ristoranti e resort di gran lusso come l’Hotel Villa Fiorita di Giulianova (Teramo) e Il Feudo degli Ulivi a Borgia di Catanzaro; sette autoveicoli personali ed aziendali; 385 titoli comunitari (aiuti all’agricoltura) che danno diritto a percepire dall’Agea circa 1,6 milioni di euro annui; e svariati conti correnti societari e personali. Il tutto, come dicevamo, del valore stimato in circa 324 milioni.

Tutte le aziende confiscate proseguono regolarmente le loro attività commerciali con degli amministratori giudiziari nominati dall’Autorità Giudiziaria.