Contrabbando di carburante. Inquirenti: così si spezza le gambe a chi lavora onestamente
“Non tutti i crimini che avvengono sul territorio sono riconducibili alla mafia ma non per questo non sono altrettanto importanti”. È chiaro e diretto il comandante della Guardia di Finanza di Crotone, il colonnello Emilio Fiora a cui fa eco, rinforzandone il concetto, il tenente colonnello Giuseppe Laterza, sottolineando a sua volta che anche in questi casi “chi saccheggia le casse dello Stato mette le mani in tasca dei cittadini”.
Gli investigatori sono categorici nel definire appunto come un “saccheggio” quanto appurato nell’ambito dell’operazione Ocris, che stamani ha fatto scattare le manette ai polsi di sei persone (finite ai domiciliari) mentre in 21 risultano indagate per un presunto traffico internazionale di prodotti petroliferi: del gasolio passato per olio lubrificante così da farlo entrare in Italia e rivenderlo al prezzo di quasi un quarto rispetto a quello ufficiale (che si aggira sull’euro e quaranta).
A riceverlo - hanno spiegato gli investigatori nel corso della conferenza tenuta oggi presso comando provinciale della fiamme gialle - aziende, soprattutto di trasporti, non solo calabresi che così potevano acquistare il gasolio per trazione dei propri mezzi ad un prezzo bassissimo.
Il problema però è che alla base di quest’acquisto c’era un fondamento di illegalità che passava da azienda fasulle o esistenti prettamente sulla carta, tramite le quali si faceva transitare il prodotto proveniente da una raffineria polacca così da farlo giungere a casa nostra, con una conseguente evasione dell’accise sui carburanti.
Insomma, un’organizzazione attiva in un “fenomeno annoso”, quello del contrabbando. Un sistema - hanno ribadito gli investigatori - che operava non solo in Italia e in Calabria e “che spezza le gambe a chi lavora onestamente”, è stato evidenziato, cioè a chi acquista in modo legale venendo poi stritolato dal peso di una concorrenza sleale di aziende che possono invece contare su costi d’esercizio molto più vantaggiosi.
Un’altra figura su cui gli inquirenti hanno posto l’attenzione stamani è quello definito dell’interlocutore fittizio: “un anello necessario ed indispensabile della frode” pronto ad assumersi consapevolmente il rischio di essere sacrificato in nome del profitto, illegale. Per questo non meno importante di capi ed organizzatori.
Al centro dell’inchiesta la famiglia Celsi, imprenditori noti ma anche attenzionati dalle fiamme gialle, in particolare da quelle di Udine che si sono interfacciate, in fase di indagine, con i colleghi pitagorici.
Francesco e Giovan Pietro Celsi, il primo chiamato “u’ Baron” l’altro più semplicemete “Gianpiero”, sarebbe stati non solo promotori ma anche capi dell'organizzazione.
Se ne dicono certi gli inquirenti che gli contestano - come agli altri arrestati - l’associazione a delinquere, reato - come ha sottolineato Alessandro Riello, Sostituto della Procura di Crotone - che "evidenzia l’importanza di questa inchiesta” corroborata tra l’altro da intercettazioni che, ha ribadito, “hanno avuto bisogno di forti competenze nella Guardia di Finanza per decifrarne i contenuti”.
Il magistrato ha voluto anche sottolineare quella che ha definito come la“pervicacia a delinquere” dei soggetti coinvolti e che verrebbe fuori proprio in una della captazioni registrate dove un indagato “dice ad un altro di aver sempre fatto questo è che avrebbe continuato a farlo”.
Alla conferenza hanno partecipato anche il Procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia ed il Capitano della Guardia di Finanza Michele Filomena.