Anche i figli del boss pagavano il “pizzo”. Blitz in Emilia, Calabria e Lazio: tre in carcere
Tutto parte dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Nicola Femia, condannato per associazione mafiosa nella storica sentenza del Tribunale di Bologna che il 22 febbraio del 2017 lo aveva ritenuto come il boss di un gruppo che operava nel settore del gioco illegale.
Femia aveva raccontato ai magistrati diversi fatti, in particolare estorsioni attuate da calabresi che operavano sul territorio emiliano-romagnolo e che sarebbero stati riconducibili alla ‘ndrina dei Bellocco di Rosarno, uno dei clan criminali più antichi, pericolosi e potenti della ‘ndrangheta reggina.
Cosca che vantava ramificazioni importanti in Emilia-Romagna e nel nord Italia e che spazia le sue attività dal narcotraffico, alle estorsioni, al controllo di attività commerciali e imprenditoriali.
Partendo dalle dichiarazioni del collaboratore si è arrivati oggi all’operazione denominata “Scramble”. I Finanzieri di Bologna, in collaborazione con i colleghi dello Scico e di Ravenna, Reggio Calabria e Roma, hanno tratto in arresto, tra l’Emilia, il Lazio e la Calabria, tre pregiudicati ritenuti affiliati alla ‘ndrangheta e considerati i responsabili di un’estorsione maturata in un contesto di malavita organizzata sul territorio emiliano-romagnolo.
In carcere sono così finiti un 34enne di Siderno, F.B., un 50enne, C.F., anch’egli residente nella cittadina reggina ma domiciliato ad Anzio (in provincia di Roma) e un altro 50enne, L.C., di Massa Lombarda (in provincia di Ravenna).
Contemporaneamente sono state eseguite perquisizioni a Conselice e Massa Lombarda, in provincia di Ravenna; a Siderno, Rosarno e Palmi nel reggino, e ad Anzio in provincia di Roma.
LA SALA SCOMMESSE E LE PRIME RICHIESTE ESTORSIVE
La vicenda originaria risale al gennaio 2011 quanto l’attuale collaboratore di giustizia ricevette le prime richieste estorsive collegate alla gestione di una sala scommesse che dirigeva a Roma. Le vicende giudiziarie che successivamente avevano coinvolto, in tempi diversi ed a vario titolo, sia i presunti estorsori che la vittima, avevano fatto registrare delle battute di arresto nelle pretese di denaro da parte dei primi.
Poi, però, tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, nonostante Femia fosse in carcere - anche a seguito del suo arresto nell’ambito dell’operazione “Black Monkey” - le richieste di denaro, 250mila euro, erano riprese nei confronti dei figli, che vivono in provincia di Ravenna; fino a giungere al novembre del 2016 quando le minacce a quest’ultimi, avvenute nelle loro case di Conselice, li avevano convinti a cedere e a pagare pattuendo tre soluzioni da 50mila euro.
Le investigazioni, svolte anche avvalendosi dei filmati della sorveglianza installata presso il Municipio del comune ravvenate, e come scrive il Gip nell’ordinanza, avrebbe permesso “di riscostruire e riscontrare analiticamente la vicenda estorsiva che ha visto coinvolti a Conselice (RA), da un lato, come parti offese, i figli del noto boss Nicola Femia e dall’altro, nella veste di autori del delitto estorsivo, gli odierni indagati, inseriti o gravitanti nell’orbita della ‘ndrina Bellocco, comunque avvalendosi della forza intimidatrice derivante dal gruppo criminale di stampo ‘ndranghetista.”
L’operazione è stata eseguita dagli specialisti del Gico di Bologna. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata invece emessa dal Gip Gianluca Petragnani Gelosi su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia locale, nella persona dell’aggiunto Francesco Caleca.