L’insospettabile infermiere “postino” dei boss detenuti in carcere
Un insospettabile infermiere del carcere che per compiacere i boss della ‘ndrangheta locale si sarebbe adoperato, e più di una volta, per soddisfare alcune dello loro esigenze mentre questi erano rinchiusi nella casa di reclusione.
Oggetti personali fatti entrare per i carcerati “eccellenti” approfittando del fatto che, per la sua posizione, avrebbe potuto scansare i controlli di routine; ma, soprattutto, un altro ruolo dell’infermiere avrebbe assunto una maggior rilevanza: il fatto cioè di essere in pratica un “tramite” degli affiliati detenuti con il mondo esterno.
Un’instancabile e selettiva opera di raccordo perfezionata nel tempo attraverso la predisposizione di un sistema funzionale al passaggio di messaggi ed ambasciate da e verso il carcere.
Questa, dunque, la tesi con cui la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha chiesto ed ottenuto dal Gip un ardine arresto in carcere - eseguito dai carabinieri - a carico di un 51enne di Melito Porto Salvo, Pasquale Manganaro, infermiere, appunto, presso la Casa Circondariale “G. Panzera” del capoluogo.
L’accusa nei suoi confronti è di associazione di tipo mafioso e danneggiamento mediante incendio con l’aggravante del metodo mafioso.
Il provvedimento arriva al termine di approfondimenti delegati al Nucleo Investigativo di Reggio Calabria e condotti nei mesi di febbraio e novembre 2015, con lo scopo di verificare e riscontrare i presunti comportamenti illeciti tenuti dall’indagato nell’istituto di detenzione, per favorire elementi di spicco della cosca “Iamonte”, clan egemone nel territorio di Melito Porto Salvo.
Gli investigatori sostengono che l’infermiere si sia dunque più volte adoperato a loro favore, soprattutto e come dicevamo, con la volontà di compiacere i capi cosca, tra cui il detenuto Remingo Iamonte.
Le indagini restituirebbero “un profilo criminale - affermano gli inquirenti - ben stagliato dell’indagato” che già nel 2012 (ovvero dall’esecuzione dell’Operazione “Ada”) avrebbe portato l’allora sindaco di Melito, Gesualdo Costantino, ad interessarsi in prima persona per l’assunzione della moglie in una cooperativa cittadina: “segno tangibile di riconoscenza nei confronti dei soggetti affiliati alla cosca che ne avevano appena favorito l’elezione” sostengono gli investigatori.
Il quadro indiziario - e con esso anche il giudizio sulla pericolosità sociale - è stato irrobustito da un episodio di danneggiamento ad un’imbarcazione, incendiata con modalità tipicamente mafiose e senza motivi di diretto dissidio tra la vittima e Manganaro, e dove quest’ultimo avrebbe avuto il ruolo di mero esecutore di direttive altrui.
Manganaro, dopo l’arresto, è stato trasferito nel carcere di Vibo Valentia.