Terremoto a Reggio: imprenditori “mafiosi” arricchiti con l’appoggio dei clan
Avrebbero contato sull’appoggio delle più pericolose cosche cittadine per accumulare enormi profitti illegali poi riciclati in fiorenti attività commerciali.
Questa la tesi con cui la Direzione Distrettuale Antimafia ha disposto il fermo di quattro noti imprenditori del capoluogo reggino: Michele e Giuseppe Surace, Andrea Giordano e Carmelo Ficara, ai quali sono state contestate le accuse, a vario titolo, di associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni e autoriciclaggio.
Stamani all’alba è scattato il blitz: una maxi operazione che ha visto impegnati oltre un centinaio di carabinieri appartenenti al Comando Provinciale del capoluogo che hanno eseguito il provvedimento nei confronti degli imprenditori che sono ritenuti affiliati alla ‘ndrangheta.
SEQUESTRATI BENI PER 50 MILIONI DI EURO
Nel mirino degli investigatori quello che gli stessi hanno definito come un “reticolato di cointeressenze criminali” coltivate da impresari etichettati come “spregiudicati” ed attivi nei settori edili e immobiliari.
In particolare sono quattro quelli colpiti dal provvedimento di fermo dell’Antimafia mentre i militari stanno eseguendo il sequestro di numerose aziende, centinaia di appartamenti e decine di terreni edificabili nel capoluogo, per un valore complessivo che – secondo le stime – supera gli oltre 50 milioni di euro.
I FERMATI
I fermati sono Carmelo Ficara (62 anni), ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa e concorso in estorsione aggravata dal metodo mafioso; Andrea Francesco Giordano (67 anni) e Michele Surace (61 anni), accusati di associazione di tipo mafioso, esercizio abusivo dell’attività finanziaria e trasferimento fraudolento di valori aggravato poiché commesso al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa, quest’ultimo reato contestato anche a Giuseppe Surace (34 anni).
Il provvedimento costituisce l’esito di un’articolata attività investigativa, avviata nel febbraio 2017 dai militari del Nucleo Investigativo di Reggio Calabria sotto la direzione della Dda, per far luce su un presunto sistema di cointeressenze criminali, che si ritiene coltivate dagli imprenditori: la tesi è che sfruttando l’appoggio delle più temibili cosche cittadine (in particolare quella dei “Tegano”), siano riusciti ad accumulare, in modo del tutto illecito, enormi guadagni riciclati nelle attività commerciali.
“Le indagini – sostengono gli inquirenti - confortano il dato storico, oramai pacificamente acquisito, della commistione di interessi tra mafia ed imprenditoria, che sovente si alimentano e rafforzano vicendevolmente, in un connubio di formidabile capacità intrusiva nel tessuto sociale ed economico”.
L’operazione di oggi, denominata “Monopoli”, andrebbe in questa direzione, portando alla luce degli altri esempi di imprese definite “mafiose” che avrebbero imposto al territorio un monopolio di fatto, inquinando il libero mercato ed impedendo agli imprenditori sprovvisti di sponsor mafiosi di competere in condizioni di parità.
Le indagini sono state avviate dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia riguardo agli imprenditori reggini Michele Surace e Andrea Giordano, coinvolti anche nell’operazione “Martingala” in quanto indagati in concorso per auto-riciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
IL BINOMIO FICARA-SURACE
Le rivelazioni dei collaboratori avrebbero così delineato i profili dei due uomini che sono ritenuti come affiliati di lunga data al clan “Tegano” di Archi e in contatto con il boss Giovanni Tegano, attualmente detenuto.
Gli approfondimenti dei Carabinieri avrebbero permesso di ricostruire la carriera imprenditoriale dei due, partita dall’edilizia residenziale.
Intorno alla fine degli anni ’90 gli imprenditori hanno realizzato il complesso residenziale “Mary Park”, fabbricato che ospiterà i locali dell’unica sala bingo cittadina e numerose villette a schiera, in cui avrebbero riservato un appartamento a Giuseppe Tegano, fratello del boss Giovanni.
“Vicinanza” che per gli inquirenti avrebbe garantito ai due imprenditori un eccezionale sviluppo economico: con il tempo sarebbero diventati infatti “un tassello fondamentale per il sistema di riciclaggio e reinvestimento dei proventi illeciti del clan”.
Per paura dei provvedimenti della Procura reggina, Surace e Giordano avrebbero poi iniziato a effettuare delle manovre societarie per schermare la reale titolarità delle imprese, sottraendole ad eventuali aggressioni patrimoniali.
Così a partire dal 2016 le imprese edili e immobiliari dei due hanno assunto l’attuale conformazione in “Essegi Costruzioni Srl” e “G.G. Edilizia” (cie si ritiene fittiziamente intestate ai figli di Andrea Giordano, Giorgio e Giuseppe), ma di fatto gestite da Andrea; la “Construction Italy s.r.l.” e “Coedil S.r.l.” (intestate fittiziamente a Demetrio Modafferi, Giuseppe Surace, Gaetano Hermann Murdica, rispettivamente cognato, figlio e genero di Michele Surace, che ne sarebbe il vero dominus.
Tuttavia il continuo monitoraggio ha portato a scoprire che le quattro società operassero sotto il loro diretto e continuo controllo.
Gli indagati sono stati infatti “immortalati” mentre gestivano personalmente le maestranze sui cantieri edili e i dipendenti degli uffici commerciali; mentre ordinavano materiale presso i fornitori; accompagnavano i potenziali acquirenti nelle visite agli immobili in vendita e tenevano tutti i rapporti con il commercialista di fiducia. Ruoli assolutamente incoerenti con gli assetti societari formali.
LA SALA BINGO DI ARCHI: “BANCOMAT” DEI SOCI"
Tra le attività economiche nate dal rapporto fra Surace-Giordano e i “Tegano” ci sarebbe inoltre la sala bingo di Archi, la cui proprietà sarebbe da ricondurre, in parti uguali, a Giovanni Tegano ed al binomio Surace-Giordano, con una sostanziale spartizione di utili tra i presunti appartenenti alla stessa organizzazione criminale.
Dopo l’apertura della sala - avviata nel 2001 ed allocata in un immobile del complesso “Mary Park” - nel 2008 è stato lo stesso Michele Surace a trasferirne la titolarità formale al cognato Bruno Mandica, mantenendone comunque l’effettiva disponibilità insieme al socio, Giordano.
I militari del Nucleo Investigativo hanno ripreso i continui trasferimenti di denaro contante che Mandica prelevava dalle casse del bingo per poi consegnarlo nelle mani dei Surace e di Giordano.
Nel corso delle indagini sono stati censiti almeno 15 episodi, fra dazioni e “prelievi”, così da far ritenere agli inquirenti che l’attività commerciale fosse “un vero e proprio sportello bancomat” a disposizione dei due soci occulti, dal momento che era capace di fatturare più di 10 milioni di euro all’anno.
Tuttavia, la sala bingo di Archi avrebbe operato in regime di monopolio imprenditoriale, a seguito di accordi stipulati dalla famiglia “Tegano”, titolare dell’iniziativa imprenditoriale, con le altre componenti della ‘ndrangheta cittadina. In questo modo l’attività avrebbe potuto produrre utili per più di 20 anni, “anche grazie alla forza di intimidazione dei Tegano e dall’alterazione delle regole del libero mercato da esse derivate”.
IL PROGETTO DI UN ALTRO BINGO A GEBBIONE
Le intercettazioni documentano il progetto di apertura una seconda sala dello stesso tipo nel territorio reggino, un progetto coltivato dallo stesso Surace insieme a Carmelo Ficara, altro indagato.
Dall’aprile 2017 Surace, forte dell’esperienza maturata in questo settore, si sarebbe attivato per reperire i locali necessari a realizzarla nel quartiere Gebbione del capoluogo.
In particolare, l’idea di Michele Surace e del figlio Giuseppe sarebbe stata quella di acquisire una sala già aperta nel comune di Polistena, richiedendo successivamente l’autorizzazione all’Adm a trasferirla nel reggino. Il progetto imprenditoriale non andò poi in porto per difficoltà di tipo burocratico.
Sempre dalle dichiarazioni ma di uno dei collaboratori, rientrate nell’indagine, sarebbe emerso l’impossibilità ad aprire nuove sale in altre zone della città. Anche se, in virtù di accordi criminali vigenti tra le principali famiglie del posto, proprio il quartiere Gebbione, notoriamente controllato dalla cosca Labate e svincolato dagli accordi fra i principali clan del capoluogo, avrebbe potuto in astratto costituire l’unica area in cui realizzarla.
Infatti, Michele Surace avrebbe già tentato nel 2014 (in combutta con la famiglia Martino di Milano ed insieme a familiari di Carmelo Ficara ed Andrea Giordano) di estendere i suoi interessi nel settore, aprendo una sala bingo a Cernusco sul Naviglio.
Quella esperienza è poi finita con l’arresto e la condanna di Michele Surace: come infatti accertato nell’inchiesta “Rinnovamento” della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, questi si sarebbe reso responsabile dell’incendio della struttura ricreativa così da ottenere un ingente indennizzo previsto dalla polizza assicurativa.
L’AUTORICICLAGGIO E L’ABUSIVO ESERCIZIO DI ATTIVITÀ FINANZIARIA
Nel corso delle investigazioni è stata documentata una presunta attività di autoriciclaggio di parte della liquidità prelevata da Michele Surace dalla sala Bingo di Archi: somme di denaro che sarebbero state impiegate nella società “Construction Italy s.r.l.”, intestata fittiziamente a Demetrio Modafferi.
Inoltre, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e i riscontri operati dai Carabinieri avrebbero indicato come Michele e Giuseppe Surace, presso le rispettive attività commerciali, sarebbero stati soliti concedere prestiti agli avventori.
I destinatari della linea di credito offerta da padre e figlio sarebbero stati soprattutto i clienti della sala bingo; quando costoro rimanevano sprovvisti di liquidità per continuare a giocare, si rivolgevano a Michele Surace.
FICARA: L’UOMO D’AFFARI A DISPOSIZIONE DEI CLAN?
Gli approfondimenti hanno interessato un terzo imprenditore edile: Carmelo Ficara. Gli investigatori sostengono che Rispetto a Surace e Giordano, vicini al clan Tegnao, Ficara sarebbe da considerare come l’uomo d’affari a disposizione della ‘ndrangheta, rispetto alla quale sarebbe divenuto, progressivamente, concorrente esterno.
Gli accertamenti volti a ricostruire la sua intera storia imprenditoriale, hanno portato a ricostruire le numerose cointeressenze imprenditoriali tra Ficara ed il binomio Giordano-Surace, nonché uno storico rapporto di amicizia esistente in particolare tra Ficara e Surace.
Ficara avrebbe avuto un ruolo importante nel 2010, nell’ambito dei lavori di ristrutturazione del Museo Nazionale della Magna Graecia di Reggio Calabria.
In questa circostanza la cosca “De Stefano” avrebbe imposto, tra l’altro, all’amministratore della “Co.Bar. S.p.a.”, ditta a cui erano stati affidati i lavori in questione, l’affitto un magazzino di proprietà di Ficara da adibire a deposito temporaneo dei reperti archeologici.
La vicenda dei lavori al museo cittadino era stata già oggetto, in passato, dell’indagine “Il principe” e in quella circostanza l’attenzione degli inquirenti si era concentrata su una serie di estorsioni consumate dalla cosca De Stefano e sul ruolo di primissimo livello rivestito da Giovanni De Stefano, figlio del defunto Giorgio, reggente della cosca.
L’inchiesta di oggi ha ricostruito doviziosamente le tappe della storia imprenditoriale di Ficara, il cui punto di partenza emerge dalle risultanze giudiziarie del procedimento “Alta tensione”, definito con l’accertamento di attività estorsive che sarebbero state consumate ai danni di imprenditori edili operanti nei quartieri reggini di Modena e Ciccarello da parte delle cosche Caridi-Borghetto-Zindato e delle modalità d’infiltrazione occulta della ‘ndrangheta in quel settore.
In quel procedimento era emerso come tra gli imprenditori vittime di estorsione vi fosse anche Ficara. Tuttavia le indagini avrebbero anche accertato come l’imprenditore aveva già diminuito la sua attività edilizia nei quartieri Modena e Ciccarello, spostandole in quello di Archi e nelle zone limitrofe.
Il costruttore, infatti, a seguito di quegli accadimenti, avrebbe richiesto l’intervento dei De Stefano per appianare i suoi burrascosi rapporti con i Borghetto-Zindato del quartiere Modena, e da questa iniziale protezione il rapporto si sarebbe evoluto successivamente, “fino a consentirgli di assumere il ruolo di imprenditore di riferimento della potente cosca”.
Infatti, spiegano ancora gli investigatori, a decorrere dal 2007, Carmelo Ficara avrebbe concentrato nel quartiere Archi e nelle zone vicine gran parte delle sue iniziative imprenditoriali, realizzando numerosi complessi residenziali “grazie alla protezione offerta dal sodalizio”.
Dall’inchiesta sarebbe emerso che Ficara non apparterrebbe a quella categoria di imprenditori subordinati, assoggettati all’organizzazione criminale con l’intimidazione, quanto piuttosto a quella degli imprenditori “collusi”, in grado di instaurare con il sodalizio “un rapporto fondato su reciproci vantaggi”.
I BENI SEQUESTRATI
È stato disposto il sequestro preventivo delle seguenti società - con relativo patrimonio ammontante a circa 50 milioni di euro - riconducibili agli indagati: Michele Surace E Bingo s.r.l. Unipersonale, con sede a Roma; Construction Italy s.r.l., con sede a Roma; Coedil s.r.l., con sede a Reggio Calabria; Essegi s.r.l., con sede a Roma; Impresa Individuale G.G. Edilizia Di Giordano Giorgio, con sede a Reggio Calabria; Carmelo Ficara s.r.l., con sede a Milano; Reghion Immobiliare s.r.l., con sede a Reggio Calabria; Buy House S.r.l., con sede a Reggio Calabria; Copacabana Village Calabria S.R.L., con sede legale a Reggio; Impresa individuale Ficara Carmelo con sede a Messina; Serena S.r.l. con sede a Reggio Calabria; G.I.F. S.R.L., con sede a Roma; Progettidea S.r.l., con sede a Reggio Calabria; ImmobiliareGE.SU.FI. S.r.l., con sede a Milano; Impresa individuale Di Lollo Orsola, con sede a Reggio Calabria; Impresa Individuale Surace Giuseppe, con sede a Reggio Calabria.
È stato sequestrato parte del patrimonio personale di Carmelo Ficara consistente in 120 unità immobiliari e 21 terreni.
(ultimo aggiornamento 12:06)