Blitz anti ‘ndrangheta tra Toscana e Calabria: 41 fermi e sequestri per 100 milioni
Un maxi blitz antimafia quello scattato alle prime ore dell’alba di stamani. Nell’ambito di due operazioni, denominate “Martingala” e “Vello d’Oro” il personale della Dia, del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e dei carabinieri sta eseguendo sull’intero territorio nazionale, quanto alla prima inchiesta, un provvedimento di fermo - emesso dalla Dda dello Stretto - nei confronti di 27 persone ritenute appartenenti alla ‘ndrangheta.
Contemporaneamente, gli investigatori hanno sequestrato 51 imprese oltre a beni immobili e disponibilità finanziarie per un valore complessivo che si aggira intorno ai 100 milioni di euro.
Le accuse contestate agli indagati vanno, a vario titolo, dall’associazione mafiosa, al riciclaggio, autoriciclaggio, reimpiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita; ma anche usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria, trasferimento fraudolento di valori, frode fiscale; e poi associazione a delinquere finalizzata all’emissione di false fatturazioni, reati fallimentari ed altro.
Su ordine della Distrettuale Antimafia di Firenze, invece, parallelamente sono in esecuzione altri provvedimenti restrittivi e di sequestro per riciclaggio e reimpiego nel tessuto economico toscano di proventi considerati illeciti ottenuti dall’associazione mafiosa.
Su ordine del Gip del capoluogo toscano 11 persone sono finte in carcere e 3 ai domiciliari con le accuse, a vario titolo, anche di estorsione e sequestro di persona, aggravate dal metodo mafioso.
Oltre agli arresti, carabinieri e finanzieri toscani, nell'operazione da loro chiamata “Vello d'Oro”, hanno anche sequestrato imprese, beni immobili e disponibilità finanziarie, in Italia ed all'estero.
In totale, dunque, sono 41 le persone raggiunte dal fermo tra la Toscana e la Calabria. Tra i destinatari delle 14 misure cautelari emesse dal gip di Firenze c’è anche Giuseppe Nirta, nipote e omonimo del boss della 'ndrina 'La Maggiore' di San Luca, ucciso nel 1995. Per Nirta il giudice Paola Belsito ha disposto il carcere in quanto ritenuto soggetto che opera "in collegamento, nell'interesse, a favore di articolazioni mafiose storicamente e stabilmente connotate", le cosche Nirta di San Luca e Barbaro di Plati'.
Gli altri destinatari della misura in carcere sono: Antonio Scimone, 43 anni, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), Cosma Damiano Stellitano, 53 anni, nato a Melito Porto Salvo ma residente a Vinci (Firenze), Antonio Barbaro, 45 anni di Platì e residente a Cosenza, Andrea Iavazzo, 65 anni, nato a Fucecchio (Firenze) e residente a Pistoia, Maurizio Sabatini, 58 anni, di Santa Croce sull'Arno (Pisa), Giovanni Lovisi, 64 anni, originario di Salerno e residente a Santa Croce sull'Arno (Pisa), Lina Filomena Lovisi, 33 anni, di Santa Croce sull'Arno (Pisa), Giuseppe Pulitano', 30 anni, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), Ferdinando Rondò, 44 anni, di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), Francesco Savario Marando, 40 anni, di Locri (Reggio Calabria).
Ai domiciliari gli imprenditori Alessandro Bertelli, 45 anni, di Empoli (Firenze) e Filippo Bertelli, 49, di Fucecchio (Firenze), e Marco Lami, 59 anni, di Santa Croce sull'Arno (Pisa).
L’inchiesta condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria avrebbe consentito di accertare l’esistenza di un sodalizio criminale con sede operativa a Bianco e ramificazioni non solo nella provincia reggina ma anche in altre regioni italiane e persino all’estero. Secondo quelle che sono le risultanze investigative, al vertice dell’organizzazione ci sarebbe Antonio Scimone, ritenuto il principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e il vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali. Con lui sotto accusa sono finiti anche Antonio Barbaro, Bruno Nirta ed il figlio di quest’ultimo Giuseppe, elementi di spicco delle due omonime cosce operanti nel versante jonico reggino.
Il sistema poteva quindi contare su un gruppo di società di comodo, chiamate “cartiere”, che sarebbero state coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, caratterizzate dalla formale regolarità attestata da documenti fiscali ed operazioni di pagamento rivelatesi tuttavia, all’esito delle indagini, anch’esse fittizie. Le società avevano sede in vari paesi dell’Unione Europea (Croazia, Slovenia, Austria, Romania) e dopo non più di un paio di anni di “attività”, venivano sistematicamente trasferite nel Regno Unito e cessate. Tutto ciò era ovviamente funzionale ad evitare accertamenti, anche ex post, sulla loro contabilità.
Con queste operazioni potevano essere mascherati numerosi trasferimenti di denaro da e verso l’estero, trasferimenti che erano importato per portare a termine diverse condotte illecite, come il riciclaggio ed il reimpiego dei relativi proventi. Per gli investigatori il meccanismo serviva per porre le basi per flussi finanziari tra le aziende degli indagati e le società di numerosi “clienti” che di volta in volta si rivolgevano agli stessi per il soddisfacimento di varie illecite finalità, tra cui la frode fiscale.
Gran parte di questi clienti erano imprenditori espressione, direttamente o indirettamente, delle cosche di ‘ndrangheta operanti sul territorio dei “tre mandamenti”. Le indagini hanno consentito di accertare che, attraverso questo collaudato meccanismo fondato sulle operazioni fittizie, Antonio Scimone ed i suoi sodali sarebbero riusciti a far transitare dai conti delle società cartiere flussi finanziari per diverse centinaia di migliaia di euro al mese. Il giro di denaro sarebbe poi finito in Italia mediante bonifici a società di comodo, oppure sui conti di società estere dai cui conti veniva prelevato e riportato in contanti in Italia. L’organizzazione, come evidenziato dagli inquirenti, ha dimostrato la capacità della criminalità organizzata di infiltrarsi nella gestione ed esecuzione di appalti pubblici.
L’attività ha svelato l’esistenza di una folta schiera di imprenditori che hanno fruito dei servigi offerti dall’associazione. Tra di loro ci sono anche nomi eccellenti, come Pietro Canale (socio di maggioranza ed amministratore della Canale Srl, società molto attiva nel settore della costruzione e gestione di condutture di gas), che è ritenuto responsabile dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio e impiego di denaro, beni, utilità di provenienza illecita; nonché quella dell’imprenditore Antonino Mordà, già interessato in passato da procedimenti in materia di criminalità organizzata. Con riferimento al Mordà, è stata documentata la straordinaria liquidità di cui disponeva. Le indagini hanno dimostrato che tali risorse, di illecita provenienza, sono state reimpiegate nell’usura e nell’esercizio abusivo del credito, soprattutto ai danni di imprenditori locali in difficoltà. In tale illecita attività ,Mordà è stato attivamente collaborato dai suoi più stretti sodali, soprattutto Pierfrancesco Arconte, figlio del più noto Consolato, già condannato nel Processo Olimpia quale elemento di vertice della cosca Araniti.
Un ulteriore filone dell’attività investigativa, approfondito dal Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria, ha riguardato le “prestazioni” che l’associazione guidata da Scimone – avvalendosi del complesso reticolo di imprese allo stesso riconducibili allocate sul territorio nazionale ed europeo (tra cui la società croata “Nobilis Metallis Doo” e quella slovena “B-Milijon, Trgovina In Storitve Doo”) avrebbe fornito alla famiglia Bagalà di Gioia Tauro ed a Giorgio Morabito, collegati alla cosca Piromalli. Gli imprenditori in questione sono stati destinatari di ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’operazione “Cumbertazione”, condotta dal Reparto della Guardia di Finanza su delega della Dda di Reggio Calabria.
Oltre alle persone fermate, a conclusione della lunga e laboriosa attività d’indagine, sono state denunciate, a vario titolo, 46 persone. In considerazione della tipologia dei reati contestati, che consentono, in massima parte, la confisca, è stato richiesto ed ottenuto il sequestro preventivo di 51 società con sede in varie regioni d’Italia ed anche all’estero, 19 immobili e disponibilità finanziarie per un ammontare complessivo di circa €. 100.000.000. Per l’esecuzione dei provvedimenti, il centro operativo Dia di Reggio Calabria ha potuto contare sul fondamentale apporto delle articolazioni periferiche Dia di Milano, Padova, Roma e Catanzaro, nonché di personale di supporto proveniente dalla Sicilia, dalla Puglia e dalla Campania, mentre la guardia di finanza è intervenuta mediante l’impiego di 220 militari tratti dai Reparti dipendenti dal Comando Provinciale di Reggio Calabria.
In concomitanza con l’operazione “Martingala”, il Gico del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Firenze, unitamente al Reparto Operativo – Nucleo Investigativo dell’Arma dei carabinieri del capoluogo toscano, ha fatto luce, sotto la direzione della Procura distrettuale antimafia di Firenze, sul riciclaggio/reimpiego nel tessuto economico toscano dei proventi illeciti conseguiti dall’associazione capeggiata da Antonio Scimone, Antonio Barbaro e Bruno Nirta, segnatamente nei confronti di imprenditori operanti nel locale distretto conciario. All’esito delle indagini, la guardia di finanza ed i carabinieri di Firenze hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 14 persone, oltre al sequestro preventivo di 12 società e disponibilità finanziarie.
(ultimo aggiornamento 13:21)