Inchiesta Martingala, legali Scimone: “presto la chiave che scioglierà la bolla”
“Non c’è alcun metodo, nessun sistema … La puntuale ricostruzione della genesi dei danari dell’assistito, non già dei flussi sarà la chiave che scioglierà la bolla. Nostro assistito che già in piena inchiesta aveva prodotto ampia documentazione a supporto delle proprie argomentazioni, non temendo le contestazioni”.
Così Alessandro Parrotta, penalista torinese difensore di fiducia, insieme a Cosimo Albanese, di Antonio Scimone, 42enne indagato per frode, riciclaggio e usura nella gestione di imprese nazionali ed estere.
L’imprenditore calabrese era detenuto nel carcere di Prato essendo ritenuto il “vero e proprio regista di un sistema incredibilmente complesso di società cartiere che emettevano false fatturazioni che permettevano di ripulire il denaro”, come aveva dichiarato il Procuratore Capo Cafiero De Raho.
Questo uno degli aspetti dell’inchiesta “Martingala” (LEGGI) le cui indagini da Reggio Calabria sono proseguite anche dalla Procura di Firenze.
Per Martingala i domiciliari a seguito dell’udienza del tribunale delle libertà (LEGGI). L’imprenditore era stato arrestato nel febbraio scorso in un maxi blitz condotto dalla Dia e dalla Guardia di Finanza del capoluogo dello Stretto, eseguito tra la Toscana e la Calabria, e che aveva portato ad un fermo, emesso dalla Dda, nei confronti di 27 persone ritenute appartenenti alla ‘ndrangheta.
Secondo gli inquirenti al vertice dell’organizzazione ci sarebbe stato proprio Scimone, ritenuto il principale artefice del meccanismo delle false fatturazioni e il vero “regista” delle movimentazioni finanziarie dissimulate dietro apparenti attività commerciali.
Nell’indagine sono finiti anche i nomi di Antonio Barbaro, Bruno e Giuseppe Nirta, considerati come elementi di spicco delle due cosce omonime attive sul versante jonico reggino.
Il cosiddetto “sistema” avrebbe contato, sempre secondo la tesi investigativa, su un gruppo di società di comodo, coinvolte in operazioni commerciali inesistenti, e con sede in vari paesi europei, Croazia, Slovenia, Austria, Romania.
Dopo non più di un paio di anni di attività le stesse sarebbero state “sistematicamente” trasferite in Inghilterra e poi cessate: un metodo per evitare accertamenti sulla loro contabilità.
In pratica, così facendo, si sarebbero mascherati numerosi trasferimenti di denaro da e verso l’estero, riciclando e reimpiegando presunti guadagni illeciti.