L’appetito dei clan sui fondi agricoli tra imprenditori carcerati e le risorse “deviate”
I fondi agricoli europei “di garanzia e di sviluppo rurale” - meglio noti come i Feaga e Feasr - che sarebbero diventati quasi una “calamita” per gli appetiti della ‘ndrangheta reggina.
Parliamo di erogazioni pubbliche nel settore economicamente “interessanti” e che per gli inquirenti definiscono addirittura di “preminente interesse” della criminalità locale.
Su questi fondi hanno indagato i carabinieri del reparto specializzato di Tutela Agroalimentare, insieme ai colleghi del Comando Provinciale della città dello Stretto.
Stamani la chiusura del cerchio con l’arresto - disposto dalla Dda - di otto persone: quattro finite in carcere, tre ai domiciliari e un’altra sottoposta all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (LEGGI).
Le accuse sono di associazione per delinquere, concorso in falso materiale e ideologico commesso da incaricati di pubblico servizio e truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche: il tutto aggravata dalla finalità di agevolare dei clan mafiosi.
Il blitz è scattato all’alba e ha portato tra le sbarre Teresa e Carmelo Gallico, rispettivamente di 71 e 55 anni; Demetrio Giuseppe Gangemi, 49 anni e Domenico Laganà, 47. Ai domiciliari, invece, Domenico Cambareri, 41 anni e Maria ed Elvira Pierina Curatola, di 60 e 64 anni. L’obbligo di presentazione è stato eseguito a carico di Caterina Cicciù, 44 anni.
OTTO ANNI DI FONDI INTERCETTATI DALLE COSCHE
I provvedimenti arrivano dopo una complessa indagine - condotta dai militari sotto il coordinamento del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del Sostituto Diego Capece Minutolo - per contrastare appunto la presunta “pervasività mafiosa” nel comparto agricolo realizzata attraverso delle truffe per ottenere, appunto, le erogazioni previste dall’Europa.
Gli inquirenti sostengono così che gli indagati siano “intranei o contigui” a delle note cosche di ‘ndrangheta della zona, tra le quali i “Gallico” di Palmi, gli “Alvaro” di Sinopoli, i “Lo Giudice” di Reggio Calabria ed i “Laganà-Caia” di Seminara.
La tesi è che sostenuti dalla complicità di soggetti “incaricati di pubblico servizio”, ai quali viene anche contestato il reato associativo, tra il 2010 ed il 2018 abbiano beneficiato di contributi da centinaia di migliaia di euro da parte dell’Arcea, l’agenzia della Regione Calabria che si occupa delle erogazioni in agricoltura, e della disponibilità di titoli di pagamento della cosiddetta “Politica Agricola Comune”.
IMPRENDRICE PER l’ARCEA, AL CARCERE DURO PER LA GIUSTIZIA
I soggetti che avrebbero ottenuto i fondi però, non ne avrebbero avuto diritto, innanzitutto perché privi dei requisitivi soggettivi dovuti al fatto che a loro carico gravavano delle misure di prevenzione personale o che erano stati condannati per reati relativi alla criminalità organizzata.
Gli investigatori spiegano così che grazie alla "complicità" e al contributo “sistematico” da parte degli incaricati di pubblico servizio che agivano per conto del consorzio olivicolo “Conasco”, avrebbero nascosto il loro stato carcerario - la Teresa Gallico, per fare un esempio, era addirittura al carcere duro, il cosiddetto 41-bis - e così facendo si sarebbero presentati all’Arcea come degli imprenditori agricoli in attività.
Le indagini hanno portato però alla luce numerose anomalie, sia di carattere formale che sostanziale, relative alla trattazione delle domande di accesso ai contributi, in particolare che sarebbero spariti documenti che per legge avrebbero dovuti invece essere custoditi dagli stessi incaricati.
LA PRESUNTA CONNIVENZA DEGLI OPERATORI "COPAGRI 102"
In particolare, poi, gli inquirenti ritengono di poter dimostrare come gli operatori di un centro di assistenza agricola, l’ex “Copagri 102” di Reggio Calabria, riconducibile al consorzio Conasco, che erano delegati a formare e trasmettere elettronicamente all’Arcea le domante di pagamento avanzate dagli arrestati, fossero perfettamente a conoscenza che i richiedenti erano dei detenuti.
Per confermalo, viene portato ancora l’esempio di Teresa Gallico: la donna, in carcere dal 2010 nell'ambito dell'operazione “Cosa Mia” (LEGGI), avrebbe percepito ininterrottamente dei contributi per 59 mila euro come titolare di un’impresa individuale di fatto inattiva da poco tempo dopo il suo fermo.
Il tutto grazie alla presunta complicità dei dipendenti della Conasco, che avrebbero attestato falsamente la presentazione della domanda da parte dell’interessata e omesso intenzionalmente di informare l’organismo pagatore del suo stato detentivo.
Ed in più, gli accertamenti bancari avrebbero fatto emergere che parte dei proventi sarebbero stati indirizzati anche per pagare gli onorari dei difensori di Domenico Gallico, pluriergastolano ritenuto al vertice dell’omonima cosca.
Nello stesso contesto, la Conasco è stata interdetta dall’esercizio dell’attività di assistenza agricola e sono stati eseguiti sequestri per equivalente delle occorrenze finanziarie degli indagati, per una somma di oltre 220 mila euro.
L’indagine, in sintesi, avrebbe individuato e permesso di contrastare “significativamente” un ambito di interesse della ‘ndrangheta “particolarmente insidioso per il fisiologico svolgersi del settore agroalimentare ed emblematico delle modalità dell’acquisizione di consensi attraverso un patologico indirizzo delle pubbliche risorse”, sottolineano infine gli inquirenti.