Reggio, le ipocrisie della società perbenista ne “Il fetido stagno” in scena al Zanotti Bianco
Stasera alle 20:30 presso l’Auditorium Zanotti Bianco andrà in scena in collaborazione con il Comitato Diritti Psichiatria lo spettacolo “Il fetido stagno”. Prodotto dal Teatro della Girandola di Reggio Calabria con la drammaturgia e la regia di Santo Nicito, in scena l’attore Lorenzo Praticò, con le musiche di Biagio Laponte, il disegno luci di Simone Casile, il trucco di Nadia Mastroieni, la fotografia di Giovanna Catalano e Marco Costantino.
Questo momento nasce dall’esigenza di dar voce alla drammatica realtà il settore psichiatria si trova a vivere ormai da molti anni. Attraverso l’opera teatrale, si vuole riportare la memoria a quello che è stato, per far sì che questo non accada più.
Era il 1978 quando, per iniziativa di un gruppo di psichiatri e di uomini illuminati guidati da Franco Basaglia, si metteva fine ad una delle ingiustizie fra le più gravi della società. In Italia veniva approvata la legge 180, conosciuta anche come legge “Basaglia” ivo mondiale: il ricovero coercitivo “giustificato” da vere o presunte patologie psichiatriche non è più consentito.
Era il 1990 quando una delle pagine più nere della nostra città veniva, finalmente cancellata. Il manicomio del quartiere Modena, il lager, a 12 anni dalla approvazione della Basaglia era ancora lì. A compiacere l’immoralitá di una società perbenista e borghese che voleva i pericolosi matti ivi confinati, ma anche la cinica non curanza di una classe dirigente inadeguata e l’avidità di chi, da quella vergogna dell’umanità, traeva vilmente lauti ed ingiusti guadagni.
Quel “fetido stagno”, come un poeta fra i deportati di quel lager lo aveva definito, lasciava spazio, quasi simbolicamente, a quello che nell’immaginario comune costituisce un avamposto di scuola di legalità e giustizia. La scuola per allievi carabinieri. Ma ancora oggi, a distanza di 40 anni, la “Basaglia” è una legge che ha trovato spazi effettivi in poche aree del territorio. Rigurgiti manicomiali della classe dirigente e della società contemporanea, diffondono ancora quel fetore. Lo stagno è ancora lì, conservato da una sub cultura diffusa ed interpretata ad hoc da diversi attori, per i propri fini ed interessi. E la Calabria, la nostra città, mostrano ancora il volto peggiore.
Le “regole” della psichiatria della nostra regione segnano un salto nel passato, verso il custodialismo antitetico ai principi della “Basaglia”. E nella nostra città vige ormai da quattro anni un atto di inciviltà: le persone sofferenti non possono accedere neanche ai servizi residenziali (gli unici esistenti!) sul territorio perché i ricoveri sono bloccati. Pastoie burocratiche, utilizzate se non poste ad arte dai burocrati e dalla classe dirigente, affinché tutto stia fermo. Si, il poeta deportato aveva visto lungo: il “fetido stagno” non si vede più, ma è ancora qui, emblema delle incapacità, dell’inciviltà, dell’interesse.