Omicidio Caccia. Rocco Schirripa: “Accuse da pentiti per avere benefici, tutto architettato”
Sostiene che siano stati i collaboratori di giustizia ad avere architettato delle accuse “a tavolino” contro di lui per ottenere dei benefici e si dichiara innocente.
Rocco Schirripa, il panettiere di 65 anni condannato all’ergastolo in primo grado per l'omicidio, che sarebbe maturato nell'ambito della 'ndrangheta, del procuratore capo di Torino Bruno Caccia, ha reso delle dichiarazioni spontanee nel processo davanti alla Corte d’Asside d'’ppello di Milano.
Parole lette da un foglio e pronunciate dopo che il pg Galileo Proietto ha chiesto per lui la conferma del carcere a vita.
“Avevo già fatto delle dichiarazioni spontanee prima della sentenza di primo grado - ha affermato Schirripa - ma non sono stato ascoltato. Questa volta, spero, anzi sono sicuro, che la Corte si renda conto che non c'entro niente con questo orrendo delitto”.
“Hanno studiato a tavolino le accuse per trovare un capro espiatorio - ha proseguito l'imputato - e hanno scelto me perchè ero una preda facile e avevo tutti i requisiti giusti per essere scelto in quanto sono 'comparè (di Domenico Belfiore, condannato per l'omicidio e appartenente a una 'ndrina) e sono calabrese e tutto diventa più facile. Non voglio entrare nel merito delle accuse, ci penseranno i miei avvocati, ma mi fa rabbia pensare che queste persone mi accusino per ottenere ulteriori benefici”.
Fondamentali, nella ricostruzione dell'accusa, sono risultate le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra i quali Domenico Agresta e Vincenzo Pavia.
“Anche se sono pregiudicato - è stato il suo appello finale ai giudici - lo grido con tutte le mie forze che sono innocente. Vorrei dire a chi ha architettato tutto questo che mi stanno rubando gli ultimi anni della mia vita, sono nonno di cinque nipoti che negli ultimi due anni non ho potuto vedere, immaginate come una persona può sopportare tutto questo”.
La parola è passata poi alle parte civili, mentre in apertura d’udienza la difesa di Schirripa, presunto membro del commando che freddò il magistrato nel 1983, ha chiesto alla Corte di riaprire il dibattimento sentendo in aula delle persone come testimoni.
Nella sua requisitoria, il pg ha insistito sulla “attendibilità” dei collaboratori di giustizia e sugli elementi di prova che deriverebbero dalle intercettazioni telefoniche e ambientali agli atti del procedimento. La sentenza non è prevista per oggi. (Agi)