Estorsione, rapina e lesioni: sette arresti nel vibonese e reggino

Calabria Cronaca

Sette persone residenti nelle province di Vibo Valentia e Reggio Calabria, sono state arrestate dalla Polizia di Catanzaro a seguito di un’indagine della Squadra Mobile - coordinata dalla Dda di Catanzaro - che avrebbe consentito di accertare la commissione dei reati di tentata estorsione, rapina, lesioni, aggravati dalla metodologia mafiosa, a carico di un imprenditore del vibonese.

In particolare ad alcuni degli arrestati viene contestato di aver anche costretto un collaboratore di giustizia, che aveva fatto condannare esponenti di spicco della cosca Mancuso di Limbadi, a ritrattare le accuse in una fase successiva del processo.

12:14 | I NOMI DEGLI ARRESTATI | Le 7 ordinanze di custodia cautelare emesse nell'ambito dell'operazione Never Ending di stamane sono destinate a Domenico Pardea, 46 anni, di Pizzo Calabro, nel Vibonese; Antonio Vacatello, 49 anni, di Vibo Marina; Carlo Riso, 35 anni, di Gioia Tauro (Rc); Massimo Patamia, 43 anni, di Taurianova (Rc); Raffaele Fiumara, 60 anni, di Francavilla Angitola, 60 anni, in provincia di Vibo Valentia; Rocco De Maio, 43 anni, di Gioia Tauro; Eugenio Gnentiluomo, 59 anni. I reati che vengono contestati sono tentata estorsione, rapina, minaccia e violenza i reati, a vario titolo contestati.

Vincenzo Ceravolo, imprenditore ittico del tonno, di Vibo Marina, è fra le vittime degli arrestati.

h 13:39 | "Se non si possono fare i processi ai boss della mafia allora è tutto un fallimento". Il procuratore aggiunto di Catanzaro, Giuseppe Borrelli, lancia l'ennesimo allarme sulla situazione della giustizia in Calabria. E lo fa prendendo spunto dall'operazione della squadra Mobile di Catanzaro che ha permesso di porre in stato di fermo sette persone, due delle quali ancora irreperibili. Sotto accusa finiscono i tempi dei processi che assumono contorni improponibili. Al centro della vicenda c'è la storia di un collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Vincenzo Ceravolo.

Prima le estorsioni, commesse a suo danno tra il 1994 e il 2001, poi il coraggio di denunciare, fino a fare finire sotto processo i suoi due aguzzini. Condannati in primo grado nel 2004, in secondo grado a gennaio 2009. A dicembre 2010, però, la decisione della Cassazione di annullare quella sentenza e rimandare tutto in Appello. Ma da allora, tre anni dopo, il rinvio non è stato nemmeno fissato. Così, a dodici anni dalla denuncia presentata dall'imprenditore vibonese, nessuno è mai stato giudicato per quei reati.

A rendere noto il calvario giudiziario del collaboratore di giustizia sono stati proprio il procuratore di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, e l'aggiunto, Giuseppe Borrelli. Perché mentre la giustizia prosegue nella sua lentezza, o nella paralisi, il suo percorso, l'imprenditore vibonese ha subito tra il 2003 e il 2013 ben 33 intimidazioni contro le sue aziende. Quindi, il tentativo di avvicinarlo per indurlo a ritrattare. Un tentativo interrotto dalla squadra Mobile di Catanzaro co i provvedimenti di fermo emessi dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro.

Si tratta di personaggi ritenuti a vario titolo responsabili di tentata estorsione, rapina, lesioni, violenza e minaccia, tutti aggravati dalla metodologia mafiosa. La ricostruzione degli inquirenti ha permesso di evidenziare le incongruenze del sistema giudiziario.

A dodici anni dalla denuncia che mandò in carcere Pantaleone Mancuso, capo cosca della potente consorteria di Limbadi (Vibo) e Nazzareno Colace, per le estorsioni a Ceravolo, un emissario del clan, Raffaele Fiumara, avrebbe avvicinato il fratello del collaboratore di giustizia per convincerlo a ritrattare e, come è stato riferito, "ritornare di nuovo amici". Ed è su questi tempi interminabili e sui rischi per i collaboratori di giustizia e per i processi che si sono soffermati i vertici della Procura distrettuale antimafia. Borrelli ha detto: "Non è colpa di nessuno, ci sono carichi di lavoro e una situazione complessiva insostenibili, ma così si evidenzia l'insufficienza degli organici per i dibattimenti".

"Gli arresti hanno un senso - ha spiegato Borrelli - se ci sono i processi e le condanne altrimenti ci prendiamo in giro. Non si può gestire un testimone di giustizia per dodici anni, senza che possa comparire in aula e dimostrare la sua attendibilità. Così i processi finiscono male".

Tesi ribadite dal procuratore Lombardo, il quale ha sottolineato che "la lentezza dei processi pone il problema della custodia cautelare ingiustificata e che dovrebbe essere necessaria solo per i tempi necessari alle attività probatorie". (AGI)

20:04 | CLAN MANCUSO GESTIVA ANCHE DISTRIBUZIONE DEL CAFFÈ

Avrebbero messo le mani anche sulla commercializzazione e la distribuzione del caffé nel Vibonese, alcuni elementi di primo piano del clan Mancuso di Limbadi. Stando al decreto di fermo dell'operazione "Never Ending" il boss Pantaleone Mancuso, 52 anni, detto "Scarpuni" si sarebbe direttamente interessato alla distribuzione del caffè nel Vibonese fatturando a nome della moglie, Santa Buccafusca, quest'ultima suicidatasi bevendo acido solforico il 16 aprile del 2011 dopo un iniziale tentativo di collaborare con la giustizia e con gli inquirenti. Nell'affare del caffè, oltre che del nome della moglie per le fatturazioni, il boss Mancuso si sarebbe servito pure di Manuel Callà, 27 anni, di Nicotera, latitante dal marzo scorso poiché coinvolto nell'operazione "Gringia" sulla faida fra i Patania di Stefanaconi e i clan di Piscopio. (AGI)