Veneti in fila a chiedere favori alla ‘ndrangheta: così il “boss” crotonese li teneva “al guinzaglio”
Una famiglia di origine calabrese, esattamente di Cutro, nel crotonese, che sarebbe stata capace di creare un clima di terrore in una regione che fino ad oggi sembrava scevra dai condizionamenti della ‘ndrangheta.
Una vana illusione, quest’ultima, almeno stando agli esiti dell’indagine della Dda di Venezia che stamani, con l’operazione Terry (LEGGI) ha fatto scattare le manette ai polsi di sette persone, cinque finite in carcere e due ai domiciliari, mentre quindici sono quelle indagate. Eseguite in tutto anche una ventina di perquisizioni.
Il blitz è andato a colpire la famiglia Multari, come dicevamo originaria di Cutro, da una trentina d’anni trasferitasi nel veronese e ritenuta legata alla cosca di Nicolino Grande Aracri.
Il nucleo è composto dai fratelli Domenico, Carmine e Fortunato Multari, e da Antonio e Alberto, figli di Domenico, considerato come il responsabile di gravi condotte illecite commesse - con la complicità di soggetti residenti tra Crotone e Venezia - con l’aggravante del “metodo mafioso”.
LO YACHT INCENDIATO PER EVITARE LE PERIZIE
Tra questi gli inquirenti gli contestano le estorsioni ad alcuni imprenditori veneti, ma anche l’incendio di uno yacht avvenuto nel 2015, mentre si trovava ormeggiato nel porto di Alghero (in provincia di Sassari).
Il natante sarebbe stato alla base di un contenzioso con l’acquirente (per gravi vizi strutturali accertati da quest’ultimo) e che si sarebbe dovuto distruggere per non consentire di effettuare delle perizie.
Dopo un primo tentativo, durante il quale l’imbarcazione era stata solo parzialmente incendiata, grazie all’intervento dei Carabinieri del Ros si era impedito che fosse per così dire “completato il lavoro”.
Tra le altre “situazioni” contestate a Domenico Multari, gli inquirenti puntano l’indice anche sul tentativo di quest’ultimo di interferire nella vendita all’asta di immobili che gli erano stati sequestrati.
LE MINACCE PER MANDARE DESERTE LE ASTE
Secondo gli investigatori l’uomo sarebbe riuscito infatti ad impedire il perfezionamento della procedura di vendita utilizzando dei contratti simulati con cui gli stessi sarebbero stati venduti a dei presunti prestanome oltre che con delle minacce e violenze a Pubblici Ufficiali.
I militari sostengono infatti che proprio quest’ultimi, e in più occasioni, si sarebbero addirittura recati nelle abitazioni dei Multari - per le quali era stata stabilita la vendita all’asta da parte del Tribunale Civile di Verona - per tentare di far desistere eventuali interessati all’acquisto e andati a visionarli.
Così facendo, insomma, si sarebbe fatto in modo che le relative aste andassero deserte e che le proprietà fossero poi acquistate a prezzi estremamente vantaggiosi e sempre dai presunti prestanome della famiglia.
DAL “CAPO” PER RISOLVERE I PROBLEMI
La tesi degli investigatori è dunque che con l’operazione di oggi si sia arrivati ad accertare, per la prima volta da un punto di vista giudiziario, la presenza in Veneto di un gruppo criminale calabrese, legato da vincoli familiari e radicatosi nella regione dove avrebbe commesso dei reati gravi con le modalità tipicamente mafiose.
L’indagine, poi, avrebbe anche permesso di constatare un altro dettaglio inquietante: cioè come imprenditori e comuni cittadini della zona si rivolgessero direttamente a Domenico Multari per risolvere ogni tipo di problema economico e privato, quasi preferendolo agli apparati statali.
Persone che sarebbero state “pienamente consapevoli dello spessore criminale” dell’uomo, che tra l’altro se ne sarebbe vantato anche pubblicamente, così da ottenere il “completo assoggettamento psicologico” dei suoi interlocutori.
L’operazione di oggi è stata eseguita dai Carabinieri del Ros, supportati dai Comandi Provinciali di Verona, Venezia, Vicenza, Treviso, Ancona, Genova e Crotone e l’impiego dei Nuclei Elicotteri di Bolzano e Belluno e delle Unità Cinofili di Padova.
Le accuse contestate agli indagati sono a vario titolo di estorsione, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato, trasferimento fraudolento di valori, resistenza a pubblico ufficiale, incendio, minaccia, tentata frode processuale, aggravati dall’essere in alcuni casi stati commessi avvalendosi delle “modalità mafiose”