Fragole di Curinga, avviato iter per ottenere marchio Igp
È stato avviato il procedimento per conferire alle fragole di Curinga l’indicazione geografica protetta. Nel piccolo comune del catanzarese si producono da decenni fragole di assoluta e riconosciuta qualità, tando che l’amministrazione comunale ha organizzato un incontro con gli imprenditori agricoli, l’obiettivo è quello di ottenere il riconoscimento dell’Igp.
D’altronde la Calabria può contare su 269 prodotti Agroalimentari Tradizionali e ben 38 denominazioni tra Dop, Igp e Igt. L’ultimo riconoscimento in ordine di tempo – e con risultati già visibili – è stato quello dell’IGP Olio di Calabria.
Le aziende produttrici di fragole a Curinga sono numerose. Ci sono due Op che lavorano e commercializzano le fragole esportandole in tutta Europa e ad Acconia da ben 24 anni si organizza, grazie all’impegno di un nutrito gruppo di giovani, l’ormai celeberrima Sagra della Fragola che richiama migliaia di visitatori.
Per il sindaco di Curinga, Vincenzo Serrao, l’incontro con i produttori “è stato solo il primo passo, ce ne saranno molti altri e presto potremo procedere alla costituzione del comitato promotore per l’Igp. L’impegno che abbiamo assunto come amministrazione comunale è quello di avere una visione precisa delle possibili direttrici di sviluppo del nostro territorio, la valorizzazione e la difesa delle fragole è una di queste”.
Mentre per il delegato dell’amministrazione alle tematiche agricole, Arcangelo Giampà, si tratta di un obiettivo alla portata “siamo consapevoli che si tratta di un percorso lungo e faticoso ma le premesse ci sono indiscutibilmente tutte. Le fragole di Acconia di Curinga – ha sottolineato Giampà – sono note per una qualità che è strettamente connessa alle caratteristiche pedologiche e climatiche dell’area produttiva di Acconia, attualmente parliamo di decine di aziende che lavorano circa 5 milioni di piantine ogni anno. La filiera della fragola si è scontrata in questi anni con alcune difficoltà, alcune prevedibili, altre no; penso agli investimenti sulla genetica che forse non sono stati corrispondenti alle necessità, ai costi di produzione che incidono sulla redditività delle aziende e poi all’assenza di un marchio come l’Igp che associasse il prodotto al territorio rendendolo più riconoscibile e tutelato”.