Presunti casi di malasanità ai “Riuniti”, Pm chiedono pene per 50 anni

Reggio Calabria Cronaca

Cinquant’anni complessivi di carcere: è questa la richiesta avanzata dai pubblici ministeri al termine della loro requisitoria nell’ambito del processo scaturito dall’operazione “Mala Sanitas”.

Nell’inchiesta, che risale a tre anni fa, in particolare al 21 aprile del 2016, sono coinvolti sanitari dell’ospedale “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio Calabria che sono ancora o erano in servizio nei reparti di Ostetricia e Ginecologia, Neonatologia e Anestesia (LEGGI).

LE ACCUSE contestate, a vario titolo, vanno dall’associazione a delinquere al falso ideologico e materiale, dalla soppressione, distruzione e occultamento di atti veri alla interruzione della gravidanza senza il consenso della donna.

L’operazione “Mala Sanitas” coinvolse 11 sanitari dei “Riuniti”: quattro i medici che finirono ai domiciliari, mentre altri sei dottori ed una ostetrica furono sospesi per un anno dall’esercizio della professione medica o sanitaria.

Il tutto partì da alcune intercettazioni che la Guardia di Finanza eseguì sulla cosca locale di ‘ndrangheta dei De Stefano nell’ambito di un altro procedimento della Direzione Distrettuale Antimafia.

Gli investigatori tennero sotto controllo un’utenza telefonica che era intestata all’Azienda Ospedaliera del capoluogo ed utilizzata da un medico ginecologo, Alessandro Tripodi, che è il nipote di Giorgio De Stefano, quest’ultimo cugino dei capi storici della cosca e condannato a marzo del 2018 a 20 anni di carcere nel troncone abbreviato del processo Gotha.

Da queste intercettazione emersero numerosi presunti episodi di malasanità per colpa medica e falsità in atto pubblico da parte del personale dei "Riuniti".

Tripodi, in particolare, è accusato di avere indotto fraudolentemente la sorella, con la complicità di altri sanitari e ostetriche del reparto, a interrompere la gravidanza perché sarebbe stato convinto che il bambino non sarebbe nato sano.

Secondo la tesi degli investigatori, nei reparti si sarebbero coperti illecitamente, “in condivisione con l’intero apparato sanitario”, errori medici che sarebbero stati commessi nell’esecuzione dell’intervento su singole gestanti o pazienti, così da non incorrere nelle responsabilità, soprattutto giudiziarie.

Allora furono diversi gli episodi di presunta malasanità contestati e che riguardano, in particolare, la morte in due distinti casi di altrettanti neonati, ma anche delle lesioni irreversibili subite da un altro piccolo, dichiarato invalido al 100%.

Ed ancora, si ipotizzarono traumi e crisi epilettiche e miocloniche di una partoriente, il procurato aborto di una donna non consenziente e le lacerazioni strutturali ed endemiche di parti intime di altre pazienti.

Allora gli inquirenti parlarono addirittura della “esistenza di una serie di gravi negligenze professionali e di ‘assoluta freddezza e indifferenzaverso il bene della vita che di contro dovrebbero essere sempre abiurate dalla nobile e primaria funzione medica chiamata ‘a salvare gli altri’ e non se stessi”.

LE RICHIESTE DELL’ACCUSA

Le pene invocate dall’accusa: Luigi Grasso: 4 anni; Maria Concetta Maio: 3 anni e 6 mesi; Daniela Manuzio: 7 anni e 6 mesi; Antonella Musella: 3 anni e 6 mesi; Annibale Maria Musitano: 3 anni e 6 mesi; Filippo Luigi Saccà: 4 anni; Massimo Sorace: 4 anni e 6 mesi; Giuseppina Strati: 3 anni e 6 mesi; Alessandro Tripodi: 6 anni; Pasquale Vadalà: 8 anni; Antonia Stilo: 3 anni.

Nella loro requisitoria i Pm hanno chiesto anche un’assoluzione, quella dell’ostetrica Mariangela Tomo; e due prescrizioni, ovvero per i ginecologi Roberto Rosario Pennisi e Marcello Tripodi.