‘Ndrangheta. Una “cupola” segreta decideva sulle elezioni, anche al Parlamento: 5 arresti

Reggio Calabria Cronaca

Un struttura segreta di vertice della ‘ndrangheta in grado di dettare le linee strategiche dell’intera organizzazione e di interagire sistematicamente e riservatamente con gli ambienti politici, istituzionali ed imprenditoriali per infiltrarli ed asservirli ai propri interessi criminali.


Partendo da questo assunto investigativo è scattata stamani all’alba l’operazione “Mamma Santissima” nel corso della quale i carabinieri del Ros di Reggio Calabria hanno arrestato 5 persone con l’accusa di associazione mafiosa eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare emessa su richiesta della Procura distrettuale antimafia.

Nomi eccellenti, quelli finiti nelle maglie degli inquirenti con l’accusa, a vario titolo, di partecipazione alla ‘ndrangheta. Si tratta di Giorgio De Stefano (68 anni), Paolo Romeo (69), Alberto Sarra (50) che sono finiti in carcere, Francesco Chirico (72) ai domiciliari perché ultrasettantenne, e poi del Senatore della Repubblica Antonio Stefano Caridi (47), al quale è stata applicata la custodia cautelare in carcere con la sospensione dell’esecuzione del provvedimento in attesa della delibera della Camera di appartenenza, alla quale sarà richiesta l’autorizzazione dall’Autorità giudiziaria.

Gli investigatori avrebbero documentato un ruolo determinante assunto dal sodalizio mafioso nel condizionamento di alcuni appuntamenti elettorali sia in ambito comunale che provinciale e regionale oltre che nell’individuare i propri affiliati da proiettare, addirittura, nel Parlamento nazionale.

LA “CUPOLA” E I TRE MANDAMENTI

Il provvedimento oggi rappresenta l’esito di una indagine, condotta dal Ros e coordinata dalla Procura, che proseguendo precedenti acquisizioni investigative e giudiziarie, avrebbe completato la ricostruzione di una struttura della ‘ndrangheta nelle sue componenti di vertice e avrebbe definito le modalità con cui l’organizzazione si sarebbe infiltrata e avrebbe condizionato la Pubblica Amministrazione, l’economia e la politica.

Gli inquirenti sono partiti dalle inchieste Meta, ‘Ndrangheta Banking, Reale e Crimine che, secondo la tesi accusatoria, dimostrerebbero l’unitarietà ed il “tendenziale verticismo della ‘ndrangheta” oltre che l’esistenza e l’operatività di un organo collegiale di vertice, denominato “Provincia”, in seno al quale sarebbero rappresentate le cosche dei tre Mandamenti (quello del Centro, quello Jonico e quello Tirrenico) e delle altre articolazioni dell’organizzazione attive in altre parti sia in Italia che all’estero.

Le tre operazioni precedenti avrebbero fatto supporre agli investigatori l’esistenza di una ulteriore Struttura direttiva occulta, sovraordinata rispetto alla Provincia, ed in generale di contesti occulti all’interno della stessa ‘ndrangheta: questo è stato il tema dell’indagine Mamma Santissima.

LA “SANTA”, I “MASSONI” ED I “NOBILI”

Nel corse delle indagini, condotte a partire dal gennaio 2012, gli uomini del Ros hanno in riascoltato le intercettazioni di più procedimenti penali verificando e riscontrando e parecchie dichiarazioni. Al termine dell’enorme lavoro ritengono pertanto di poter confermare l’esistenza della cosiddetta Mamma Santissima o Santa, cioè la prima struttura direttiva “segreta” della ‘ndrangheta che è caratterizzata da regole speciali in grado di rimuovere e superare a favore dei suoi componenti i divieti fissati dalle regole tradizionali.

Alla struttura avrebbero avuto accesso anche massoni o nobili, coloro cioè che non avrebbero una pura estrazione criminale. Con la Santa - la cui ideazione va ricondotta ai casati mafiosi De Stefano, Piromalli, Nirta, Araniti, Libri, Mammoliti, Cataldo e Mazzaferro – “si assiste ad un sostanziale mutamento della ndrangheta funzionale ad un processo di infiltrazione degli ambiti in cui è articolata la società civile attraverso i «Santisti» che, pertanto, hanno operato nelle vesti di appartenenti all’Organismo decisionale occulto”.

Gli investigatori, poi, avrebbero stabilito, anche superando le precedenti conoscenze, che la ‘ndrangheta ancora oggi è dotata di un apparato criminale caratterizzato dalla presenza di una struttura direttiva “segreta o riservata” - da intendersi con l’evoluzione di quella denominata Mamma Santissima o Santa – e di cui, sempre secondo la tesi degli inquirenti, avrebbero fatto parte gli avvocati Giorgio De Stefano e Paolo Romeo, il politico Alberto Sarra, l’ex funzionario pubblico Francesco Chirico, avvalendosi anche del Senatore Caridi.

“La struttura occulta – spiegano gli inquirenti - che si serve di soggetti indicati come «segreti» o «riservati», opera in sinergia con l’organo collegiale di vertice denominato Provincia che ha compiti di direzione organizzativa e di garanzia dell’unitarietà dell’organizzazione, risultando quindi, la Provincia, struttura a carattere eminentemente criminale sulla quale vengono riversate le indicazioni strategiche fornite dalla struttura riservata”.

“LA ‘NDRANGHETA NON ESISTE PIÙ”, “FA PARTE DELLA MASSONERIA

Numerosi sarebbero gli elementi dai quali far derivare l’attuale esistenza e l’operatività della componente cosiddetta “riservata”. Oltre a quelli di ordine dichiarativo e documentale - proseguono gli investigatori - particolare valore dimostrativo assumono le intercettazioni: in alcune di esse si fa esplicito riferimento sia al livello «visibile» che a quello «invisibile», ponendo quest’ultimo in rapporto di necessaria interrelazione, in ordine agli affari di maggior rilievo, rispetto al primo, corrispondente al «provinciale», intendendo per esso la «Provincia» come organo di vertice mafioso. In altre emerge che «la ‘ndrangheta non esiste più», o che «fa parte della Massoneria» e si è ridotta a «delinquenza comune»”.

In un’altra ancora si farebbe esplicitamente riferimento al fatto che gli inquirenti, quanto a conoscenze, “sono arrivati fino ad un certo punto … in effetti sapevano dell'Australia, dell'America …” ma sono totalmente all’oscuro di altro aggiungendo che “c'è un'altra cosa ancora che non la sanno nemmeno loro…: qua a Reggio contano i … i Segreti … Giorgio De Stefano gliel'ha calata la questione … sei, sette … erano in totale … (inc.) … il coso è di sette …”.

Evidente sarebbe il riferimento al contesto occulto - i «segreti» - ed alla relativa struttura “il cosoè di sette”facendo comprendere quindi che la struttura occulta si sarebbe posta “in una posizione determinante nelle scelte e negli indirizzi della Provincia”.

I COMPITI DELLA “STRUTTURA OCCULTA”

In base a quanto ricostruito dall’indagine la struttura sarebbe occupata di curare il coordinamento delle diverse operazioni riferibili al complessivo sistema criminale di tipo mafioso che opera sul territorio nazionale ed all’estero e composto dalla ‘Ndrangheta e dalle altre mafie storiche come Cosa Nostra, Camorra e Sacra Corona Unita). Avrebbe inoltre definito le strategie criminali di massimo livello per estendere il proprio programma negli ambiti di maggior interesse, con particolare riferimento a quelli informativi, imprenditoriali, economici, finanziari, bancari, amministrativi, politici e istituzionali interferendo, in questo ultimo caso, con enti pubblici locali territoriali e singoli membri di organi politici di rilievo costituzionale. Sotto quest’ultimo profilo compito del “Santista” era quello di “impadronirsi o infiltrarsi in Enti Pubblici avvalendosi del consenso elettorale”, evidentemente condizionato e viziato.

Recentissime acquisizioni in tal senso arriverebbero dalle intercettazioni del procedimento penale Reale a ridosso delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale della Calabria del 2010. Dalle captazioni apparirebbe evidente l’intendimento della ‘ndrangheta di gestire le candidature senza l’ingerenza dei partiti ed in generale di certa politica che non sia di promanazione mafiosa. Infatti, dalle stesse si sentirebbe Giuseppe Pelle (56), detto Gambazza, tracciare le linee strategiche dell’organizzazione nell’ambito politico che si coniugano con le risultanze dell’indagine Mamma Santissima.

IL CONTROLLO DEL CONSENSO ELETTORALE

“La ‘ndrangheta, intesa come organizzazione unitaria – sostengono gli investigatori - doveva individuare i propri candidati da avviare, con i voti mafiosi, per il Consiglio Regionale. In una intercettazione si farebbe anche riferimento all’organo Parlamentare. Le conversazioni confermerebbero che il rapporto ‘ndrangheta-politica si sarebbe evoluto nel senso che l’organizzazione avrebbe intrapreso un percorso in base al quale avrebbe collocato progressivamente i propri affiliati “riservati” all’interno di organi politici partendo inizialmente da quelli locali, per poi passare a quelli regionali fino ad arrivare, premiando coloro che maggiormente si adoperano per realizzarne gli interessi illeciti, agli organi centrali dello Stato.

Sul rapporto ‘ndrangheta-politica va ancora detto che le più recenti inchieste dei Carabinieri del Ros “Reale 3” e “Reale 6” avrebbero svelato come la politica ancora si rivolga all’Onorata Società stringendo con essa patti corruttivi o effettuando vere e proprie compravendite di voti.

Dagli approfondimenti eseguiti sul fronte politico emergerebbe che molti appuntamenti elettorali siano stati oggetto del condizionamento della ‘ndrangheta attraverso la formazione di liste, orientando i consensi elettorali a propria disposizione e influenzando le nomine all’interno degli organi politico-aministrativi: in particolare, sotto la lente sonole elezioni del 2001 (comunali), del 2002 (comunali e provinciali), del 2004 (Europee), del 2005 (Regionali), del 2006 (provinciali), del 2007 (Comunali), del 2009 (europee) e del 2010 (Regionali).

IL CONDIZIONAMENTO DELLE ELEZIONI

In base alla tesi degli inquirenti, a partire dal 2002, gli avvocati Romeo e De Stefano avrebbero avuto un ruolo determinante per l’elezione di Giuseppe Scopelliti e Pietro Fuda rispettivamente a Sindaco del Comune e a Presidente della Provincia di Reggio Calabria, oltre che nella formazione degli organi di governo locale “secondo un programma che, oltre a garantire loro - secondo un modello replicato nel tempo - il potere di interferire sul regolare funzionamento dei due enti attraverso più soggetti politici, in proiezione prevedeva l’infiltrazione degli Organi di governo regionale sino al Parlamento nazionale ed europeo”.

Il risultato a cui avrebbe puntato Romeo sarebbe stato quello di una sinergica operatività tra Comune e Provincia e successivamente con gli altri organi di governo. Progetto questo che – secondo gli inquirenti - doveva essere realizzato in tre distinti momenti: il primo, nel 2002, coincide con l’elezione di Scopelliti a Sindaco di Reggio e che, dimettendosi dall’incarico di Assessore regionale, consentì a Sarra - primo dei non eletti nella tornata del 2000 - di approdare in Consiglio Regionale; il secondo, si sarebbe invece concretizzato nel 2004, per effetto dell’elezione del Umberto Pirilli al Parlamento Europeo, cosa avvenuta e che consentì a Sarra di subentrargli in un incarico assessoriale; il terzo, infine, avrebbe trovato compimento nel 2005, con la candidatura di Pietro Fuda alla Presidenza della Regione Calabria, intento vanificato da vicende giudiziarie che coinvolsero sia l’interessato che lo stesso Romeo.

L’ELEZIONE DI SCOPELLITI A SINDACO DI REGGIO

Particolarmente significative sarebbero le emergenze relative alle elezioni comunali e provinciali del 2002 in relazione alle quali emergerebbe che l’affermazione elettorale di Scopelliti sull’altro candidato, Naccari Carlizzi, andrebbe ricondotta, “oltre che alla maggiore controllabilità del primo” sostengono i carabinieri, anche “agli specifici interessi della criminalità mafiosa anche nei settori dei lavori pubblici in generale, nella gestione dei fondi del Decreto Reggio e nella creazione delle società di servizi a capitale misto pubblico privato, progetto questo avviato a partire dal 2001”.

Oltre a queste, sarebbero poi stati alterati i risultati delle elezione delle rappresentanze “Provinciali e Grande Città” del partito “Popolo della Libertà” tenutesi in Reggio nel febbraio 2012, sia attraverso la “premeditata compilazione di schede elettorali a favore dei candidati prescelti sia alterando i verbali di elezione”.

IL RUOLO DI CARIDI E SARRA

Relativamente alle posizioni dei soggetti destinatari del provvedimento di oggi, nel contesto già illustrato - ed in cui gli avvocati De Stefano e Romeo sono ritenuti aver svolto funzioni di direzione e coordinamento - gli investigatori calano poi le figure dei politici Antonio Stefano Caridi, oggi senatore, e Alberto Sarra: secondo la tesi accusatoria sarebbero soggetti nuovi” che avrebbero “operano nella direzione strategica individuata dai due legali affinché gli interessi di promanazione ‘ndranghetistica” venissero comunque realizzati e tutelati, “interferendo così sul funzionamento di enti di rango costituzionale, tanto locali che nazionali”.

Alberto Sarra, in particolare, nel corso del tempo si sarebbe avvalso sia per sé che in favore di altri candidati, del sostegno elettorale delle cosche Pesce, Condello, De Stefano, Tegano, Logiudice, Alvaro, Libri/Caridi, Vadalà, Lampada, Pangallo e Crucitti ed avrebbe operato direttamente in sinergia con Paolo Romeo per “elaborare ed attuare il progetto politico sopra indicato di cui lui stesso era parte integrante e che attribuiva un ruolo di centralità in primo luogo a Scopelliti”. “In particolare – spiegano i militari – Sarra, una volta acquisite le funzioni pubbliche a seguito di consultazioni elettorali viziate dalle pressanti ingerenze mafiose” avrebbe agevolato e rafforzato il sistema criminale “gestendo un enorme bacino di voti della ‘ndrangheta da orientare al fine di perfezionare, in proiezione, l’articolato programma criminoso descritto”; avrebbe poi interferito “sull’esercizio delle funzioni degli organi regionali di cui era divenuto componente” e avrebbe favorito “le componenti politiche – in costanza di campagna elettorale - ed imprenditoriali delle varie articolazioni territoriali della ‘ndrangheta al fine di garantirgli rilevanti vantaggi patrimoniali”.

Quanto a Caridi, gli inquirenti gli contestano che, nel corso del tempo, si sarebbe avvalso del sostegno elettorale delle cosche De Stefano/Tegano, Libri/Caridi, Crucitti, Audino, Borghetto/Zindato, Nucera, Morabito di Africo, Iamonte, Maviglia ed in ultimo dei Pelle, con cui si sarebbe incontrato in occasione delle elezioni Regionali del 2010. Anc’egli, in base alle indagini, avrebbe operato direttamente in collaborazione con Romeo per attuare il progetto politico di cui lui stesso sarebbe stato parte integrante, andando a ricoprire - nel 2002 e 2007 - l’incarico di assessore all’ambiente del Comune di Reggio Calabria, cosa quest’ultima, che avrebbe consentito alla cosca De Stefano di controllare la società Fata Morgana SpA. In particolare, una volta eletto, avrebbe agevolato e rafforzato il sistema gestendo un enorme bacino di voti della ‘ndrangheta; avrebbe interferito “mediante l’uso deviato del proprio ruolo pubblico, quale componente del Senato della Repubblica”; avrebbe “imposto l’assunzione di persone anche riferibili alle indicate articolazioni della ‘ndrangheta nelle società a capitale misto pubblico privato” e avrebbe favorito le componenti imprenditoriali delle varie articolazioni territoriali della ‘ndrangheta per “garantirgli rilevanti vantaggi patrimoniali”.

LE POSIZIONI DI DELFINO, NICOLAZZI E MOIO

Nell’indagine sono finiti inoltre Alessandro Bruno Delfino, Bruno Nicolazzo e Roberto Moio: tutti e tre sono ritenuti responsabili, in concorso, di scambio elettorale politico mafioso. Secondo gli inquirenti, Delfino, candidato alle elezioni comunali del 2007 nella lista Cdc-Italiani nel Mondo riferibile a Sarra e a Francesco Chirico, avrebbe accettato la promessa di Moio e Nicolazzo di procurare voti in cambio del pagamento di 15 mila euro, di cui 10 mila sarebbero stati consegnati personalmente da Moio allo zio, Giovanni Tegano, soggetto di vertice del mandamento di Reggio Calabria. Secondo gli inquirenti, Moio quindi, su richiesta di Delfino, avrebbe preso l'impegno di attivarsi nei confronti dell’elettorato “dispiegando concretamente il proprio potere di intimidazione derivante dal suo ruolo di rilievo in seno alla cosca Tegano di Archi”, essendo nipote diretto di Giovanni e Pasquale Tegano. Per far ciò, si sarebbe avvalso di Nicolazzo - anch’egli considerato appartenente alla ‘Ndrangheta reggina – “per la diretta percezione del denaro utilizzato per pagare i voti da destinare al Delfino”, cosa che sarebbe confermata da accertamenti bancari eseguiti dagli investigatori.

LE CONCLUSIONI DELL’INDAGINE

In conclusione, gli inquirenti ritengono che l’indagine Mamma Santissima abbia innovato le conoscenze sulla ‘ndrangheta permettendo di ridisegnare, rispetto alle acquisizioni del 2010, l’apparato criminale di cui è dotata. In sintesi, quest’ultimo si caratterizza per la presenza di una “Struttura direttiva occulta” che opererebbe in sinergia con l’organo collegiale di vertice denominato “Provincia”, al quale, la struttura riservata, fornirebbe indicazioni e scelte strategiche. Questa componente riservata avrebbe così selezionato gli obiettivi strategici da perseguire, gestito le relazioni con le altre organizzazioni similari inserite in un più vasto sistema criminale di tipo mafioso sia in Italia che all’estero. Come detto, i suoi componenti riservati, in alcune intercettazioni definiti segreti, avrebbero infiltrato gli ambiti di maggior rilievo politico, economico ed imprenditoriale in cui si articola la società civile. I “riservati” sarebbe dunque soggetti intranei all’organizzazione che “avrebbero seguito un percorso nella ‘ndrangheta pensato in funzione della loro proiezione esclusiva verso i contesti informativi, imprenditoriali, economici/finanziari/bancari, amministrativi/politico/istituzionali più delicati, condizionandoli e piegandoli dall’interno ai fini illeciti del sodalizio unitario, già oggetto di ricostruzione processuale”.

“La ‘ndrangheta – concludono gli inquirenti - ha quindi evoluto il proprio modello che è fondato, non più solo sull’utilizzo di soggetti che si ‘mettono a disposizione’, ma anche su soggetti di propria estrazione che meglio di tutti possono garantire gli interessi dell’organizzazione”.

NELLE INTERCETTAZIONI I NOMI DI GASPARRI E ALEMANNO

Nelle carte relative all’indagine di oggi, comparirebbero anche i nomi di Maurizio Gasparri, vice presidente del Senato, e di Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma. I due politici non risultano indagati ma vengono citati vengono citati più volte per confermare l'ipotesi accusatoria, ovvero quella dimostrare la presunta capacità di Paolo Romeo e Alberto Sarra di imporre loro uomini di fiducia all’interno delle istituzioni.

I nomi di Gasparri e Alemanno ricorrerebbero in diverse delle intercettazioni captate dal Ros in particolare in merito alle elezioni Europee del 2004. Come si ricorderà, Gasparri, Alemanno e Umberto Pirilli (all'epoca assessore regionale della Calabria) erano candidati del centro-destra nel collegio meridionale e sia il vice presidente del Senato che l’ex sindaco dopo aver vinto le elezioni rinunciarono a favore di Pirilli.

In particolare vi sarebbe una conversazione tra Romeo e Sarra, nella quale il primo spiegava che il secondo avrebbe dovuto entrare in Consiglio Regionale con la prospettiva di fare l'assessore in seguito a un rimpasto: “perché Peppino ha già posto il problema a Gasparri" cioè "che la Provincia di Reggio non può restare senza assessore”, veniva detto nell’intercettazione.

Secondo la tesi degli inquirenti, Sarra avrebbe appoggiato Pirilli e Alemanno, secondo un disegno condiviso con Romeo: obiettivo sarebbe stato quello di permettere a Sarra di diventare assessore regionale e impedire a Giuseppe Scopelliti (a cui, nel frattempo i carabinieri hanno perquisito sia l'abitazione che lo studio) di lasciare l'incarico di sindaco della città, che suo malgrado avrebbe dovuto accettare, per candidarsi alle Europee.

In quell'occasione anche il senatore Antonio Caridi avrebbe appoggiato Gasparri. Sarra nel 2002 subentrò a Scopelliti come Consigliere Regionale e nel 2004, eletto al Parlamento europeo, dopo la rinuncia di Fini, Gasparri e Alemanno, subentrò a Pirilli come assessore regionale.

Ai Pm il nome di Gasparri sarebbe poi stato fatto anche da Salvatore Aiello, collaboratore di giustizia e direttore operativo della società "Fata Morgana Spa", in relazione a un'assunzione che l’allora sindaco Scopelliti avrebbe chiesto per un cameriere di un bar che - secondo quanto dichiarato sempre dal collaboratore - sarebbe stato "amico intimo" di Gasparri.

I PM: I VOTI DI ROMEO SPOSTATI SU SCOPELLITI

Paolo Romeo, ex parlamentare del Psdi alle Amministrative del 2002 avrebbe dirottato i voti della 'ndrangheta, fino ad allora andati all’ex sindaco reggino Italo Falcomatà (padre dell'attuale primo cittadino Giuseppe), su Scopelliti che vinse sul candidato di centro sinistra Demetrio Naccari Carlizzi, genero di Italo e cognato di Giuseppe Falcomatà. È quanto riporta l'ordinanza del Gip Santoro.

I Pm della Dda nel provvedimento ricostruiscono i presunti interessi della criminalità organizzata calabrese nel settore della manutenzione e dei lavori pubblici e parlano di Italo Falcomatà e di Naccari Carlizzi dopo avere delineato la figura di Vincenzo Carriago che, almeno secondo quanto è scritto nell'ordinanza, avrebbe sostenuti i due esponenti del centrosinistra. Negli atti si fa riferimento alle dichiarazioni di alcuni pentiti in precedenti operazioni in cui le minacce subite dall'allora sindaco sarebbero in relazione con il mancato rispetto degli impegni assunti con la cosca.

Per l’ordinanza, così, in vi sarebbe dubbio che Falcomatà e Naccari Carlizzi avrebbero beneficiato del sostegno mafioso di Carriago: durante le elezioni del 2001 e in vista di quelle del 2002 Naccari Carlizzi avrebbe reiterato la richiesta di sostegno. “L'imprenditore, invero, aveva opposto un netto rifiuto - scrivono gli inquirenti - invocando il fatto che gli accordi raggiunti la volta precedente non erano stati rispettati e aveva anche declinato l'offerta di un'ipotesi di lavoro ammontante a 100 milioni di lire".

“La vicenda in esame, dunque - prosegue l’ordinanza - mostra come Romeo abbia intercettato l'elettorato mafioso di Italo Falcomatà e lo abbia orientato verso Giuseppe Scopelliti”. La conclusione degli inquirenti sarebbe che da “padrone della macchina comunale, tanto delle componenti politiche quanto di quelle amministrative, ne ha condizionato il funzionamento piegandolo alle esigenze di appartenenti alla 'ndrangheta”.

(Aggiornata alle 18:45)

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