Nel carcere “gruviera” c’entrava e usciva di tutto. La “bella vita” dei boss con l’aiuto degli agenti

Cosenza Cronaca

Palline da tennis “zuppe” di droga lanciate dall’esterno all’interno del carcere. Ma anche vari generi alimentari se non superalcolici, addirittura farmaci. Finanche un medicinale per alterare la voce di un detenuto che avrebbe dovuto sottoporsi di lì a breve ad una consulenza fonica.

Non c’era limite alla fantasia per portare all’interno della casa circondariale di Cosenza quanto necessitassero i detenuti, ovviamente ed anche quelli di una certa “caratura”. Il tutto “assicurato” dalla presunta disponibilità di due agenti penitenziari, gli assistenti capo Luigi Frassanito, di 56 anni, e Giovanni Porco, di 53 (LEGGI).

Tutti e due stamani ci sono finiti loro tra le sbarre, arrestati dai carabinieri, coordinati dalla Dda di Catanzaro, con l’infamante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, in pratica per aver favorito le cosche dei Lanzino-Ruà-Patitucci, Bruni-Zingari e Rango-Zingari.

I due poliziottiinfedeli”, secondo l’accusa, sarebbero stati dunque "a disposizione dei clan", consentendo di fare arrivare nelle celle praticamente qualsiasi cosa, ma anche permettendogli alcune “libertà”: come ai boss detenuti - sottoposti a regimi carcerari diversi - di tenervi riunioni o convocare addirittura imprenditori da estorcere e spacciatori da “spremere” sotto le loro “camerette”, che davano su una strada comunale.

Insomma un’ampia libertà di manovra tra chiavi, cancelli e celle da cui partivano anche le “imbasciate” all’esterno, con gli ormai noti “pizzini”. Addirittura, vi si sarebbero celebrati riti di affiliazione ‘ndranghetistici.

Il tutto non senza - hanno sottolineato gli stessi investigatori - la disattenzione e l’inerzia di chi invece avrebbe vigilare e pare però non l’abbia fatto.

Mi auguro che questi arresti servano a costringere chi di dovere, dal direttore del carcere di Cosenza al direttore del Dap, a intervenire per fare un po’ di ordine, quantomeno nell’applicazione dell’ordinamento penitenziario, in modo che detenuti di alta sicurezza della stessa area criminale stiano a mille chilometri di distanza gli uni dagli altri e da Cosenza”, ha sottolineato evidentemente corrucciato, difatti, il procuratore della Dda di Catanzaro, Nicola Gratteri, intervenuto nel corso della conferenza in cui sono stati spiegati i dettagli dell’operazione.

Gratteri che senza mezzi termini si è spinto ad affermare anche che il carcere di Cosenza fosse addirittura “in mano alla ‘ndrangheta”.


Gratteri: una vicenda con “tante omissioni da parte di tanti”


Elementi che sarebbero confermati dalle lunghe indagini e che hanno anche contato sui riscontri forniti durante quasi 10 anni, dal 2009, da diversi di collaboratori di giustizia.

Dunque fatti che risalirebbero anche a molto tempo fa e che secondo il capo della Dda, se qualcuno avesse letto carte e cercato di mettere ordine avrebbe potuto far scattare gli arresti non oggi ma “5, 6 o 10 anni fa, perché - ha raccontato Gratteri - si tratta di un ‘modus operandi’ che dura da sempre nel carcere di Cosenza”.

Un lavoro di “ricostruzione fatto ora ed invece dal magistrato Camillo Falvo e dai carabinieri che hanno praticamente analizzato e verificato proprio quanto raccontato dai collaboratori di giustizia, “che da anni ripetevano e hanno ripetuto che nel carcere di Cosenza la ‘ndrangheta poteva fare di tutto e di più. E purtroppo in questa vicenda ci sono state tante omissioni da parte di tanti”, ha sbottato ancora Gratteri.

Insomma, l’arresto dei due assistenti capo avrebbe fatto emergere un “quadro a tinte fosche”, così come l’ha definito a sua volta Piero Sutera, comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza e presente anch’egli in conferenza.

Sutera però c’ha tenuto anche rimarcare il comportamento assolutamente corretto e onesto della maggior parte degli uomini della penitenziaria, “che – ha ribadito - hanno fatto pienamente il loro dovere esponendosi in alcuni casi anche a rappresaglie, come l’incendio dell’autovettura" subito da uno di loro.

Alla conferenza hanno inoltre partecipato il tenente colonnello Michele Borrelli, comandante del Reparto operativo dei Carabinieri di Cosenza, e il capitano Giuseppe Sacco, comandante del Nucleo investigativo.