‘Ndrangheta. “Locale” di Giussano, confiscati i beni ad imprenditore “mafioso”
È scattata la confisca in primo grado ai beni per circa 3 milioni di euro di Orlando Demasi, 44enne imprenditore condannato per associazione mafiosa, essendo ritenuto un affiliato alla cosca catanzarese dei Gallace-Ruga.
I sigilli sono scattati stamani ad undici immobili ubicati per lo più nella parte sud della provincia di Milano ma anche ad alcuni che si trovano in Calabria. Cautelati inoltre un’auto e la somma in contanti di 60 mila euro.
Il provvedimento è stato emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale del capoluogo lombardo, su proposta del questore.
I beni interessati erano stati sequestrati nell’agosto dell’anno scorso dalla Divisione anticrimine (LEGGI) e oggi, a seguito delle indagini patrimoniali eseguite dalla Polizia si sarebbe accertato che Demasi, nonostante figurasse come semplice titolare di una ditta individuale che si occupa di edilizia, in realtà avesse invece accumulato un cospicuo patrimonio immobiliare, ritenuto sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati.
Se il provvedimento venisse ora confermato dagli ulteriori gradi di giudizio, i beni cautelati verrebbero acquisiti al patrimonio dello stato.
Demasi - sempre secondo gli inquirenti - avrebbe fatto parte della cosiddetta locale di ‘ndrangheta di Giussano, in provincia di Monza-Brianza, per la quale avrebbe custodito armi e assistito i familiari degli ‘ndranghetisti finiti in arresto.
Il 44enne – nato a Santa Caterina dello Ionio, nel catanzarese - è stato condannato definitivamente per associazione a delinquere e si ritiene appartenente appunto alla ‘ndrangheta attiva in Lombardia che vanta collegamenti con la cosca dei Gallace-Ruga.
Nel 2012 venne anche coinvolto nell'operazione “Itaca”, durante la quale si sgominò un'associazione mafiosa costituita e organizzata nell’ambito della “locale” di Guardavalle (LEGGI).
Sempre nello stesso anno inchiesta, la “Ulisse”, fu arrestato per associazione mafiosa nell’ambito di un’altra inchiesta, la “Ulisse”, in cui gli si contestavano contatti “costanti” con i vertici calabresi della cosca catanzarese (LEGGI).