Sulla “Cattiva Strada” per mano del papà-boss? Colpo alla gang dello spaccio: in 13 in manette
Gli investigatori non a caso l’hanno chiamata in codice operazione “Cattiva Strada”: l’elemento forse più allarmante dell’inchiesta, difatti, sarebbe il presunto coinvolgimento negli affari loschi di un bimbo di appena 8 anni.
Parliamo del figlioletto di uno degli arrestati nel blitz di stamani, che ha fatto scattare le manette per 13 persone (8 finite in carcere e 5 ai domiciliari) ed accusate a vario titolo di associazione finalizzata al traffico e alla detenzione di droga (LEGGI).
Gli inquirenti sostengono infatti che la spregiudicatezza del gruppo criminale oggi sgominato, trovi conferma proprio nel fatto che il presunto capo dell’organizzazione, Agostino Cambareri, avrebbe appunto coinvolto in alcuni aspetti delle sue attività il figlio che, nonostante la tenerissima età, non solo risulterebbe pienamente a conoscenza delle attività illegali del padre, ma che sarebbe stato anche indotto a prendervi parte, col compiacimento di quest’ultimo.
Inquietanti si sarebbero rivelati, in particolare e in tal senso, i contenuti dei dialoghi monitorati tra padre e figlio, e nel corso dei quali il genitore, senza alcuna remora, avrebbe affrontato discorsi inerenti ai traffici di droga ed armi.
GLI ARRESTATI
In carcere sono così finiti: Giuseppe Cacciola, classe 94; Agostino Cambareri, cl. 73; Massimo Camelliti, cl. 74; Saverio Fortunato, cl. 93; Salvatore Lamonica, cl. 84; Massimiliano Mammoliti, cl. 83; Francesco Mazzitelli, cl. 95; Giovanni Sicari, cl. 86.
I cinque ai domiciliari sono invece: Vincenzo Condello, cl. 91; Marianna Ranieri, cl. 89; Salvatore Bubba, cl.73; Natale Giunta, cl. 86; e Rocco Saraceno, cl. 80.
I DETTAGLI DELL’INDAGINE
L’indagine - condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Reggio Calabria e coordinata dal Procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci e dal Sostituto Adriana Sciglio - è partita nell’estate del 2016 e avrebbe portato a scoprire l’esistenza dll'organizzazione che si occupava del traffico di stupefacenti.
A capo del gruppo - secondo gli inquirenti - vi sarebbe stato, come dicevamo, Agostino Cambareri, 46enne di Gioia Tauro, che avrebbe contato in tal senso sulla collaborazione dei suoi congiunti oltre che di fidati collaboratori.
Per l’intera durata delle investigazioni l’organizzazione si sarebbe dimostrata in grado di rifornire di marijuana e cocaina importanti piazze di spaccio calabresi.
All’interno della struttura, poi, ciascuno degli indagati avrebbe avuto un compito ben definito. Ma sarebbero stati anche piuttosto “attenti”: come nelle comunicazioni tra di loro che avvenivano in un linguaggio criptico mutuato dal gergo automobilistico, con termini allusivi per riferirsi ai traffici ed ai quantitativi di droga da smerciare, con parole come ad esempio “macchina”, “tappezzeria” o “gomme”.
LA DROGA IN CONTO-CREDITO, COSÌ SI FIDELIZZAVA GLI ACQUIRENTI
Ad alcuni degli indagati in particolare viene anche contestata l’ipotesi associativa, che emergerebbe non solo dalla ripetitività delle condotte, ma anche da altri aspetti che caratterizzavano un modo d’agire “consueto”.
Ad esempio la commercializzazione all’ingrosso e al dettaglio dello stupefacente che veniva venduto in parte in conto credito, per favorire l’affiliazione stabile degli acquirenti; o per il fatto che si avesse il pieno controllo del mercato per diversi tipi e qualità di droga, grazie anche a relazioni stabili e collaudate.
Poi la gestione organizzata dei traffici da parte del gruppo: lo stupefacente tagliato e preparato in modo professionale, veniva stoccato in un luogo riservato utilizzato come base operativa ed approvvigionato attraverso dei canali di fornitura definiti “stabili e certi”.
Un quadro indiziario che avrebbe pertanto messo in evidenza la sussistenza di dinamiche operative interne collaudate, oltre che per la suddivisione dei compiti anche per la ripartizione dei guadagni illeciti, come pure di una rete di protezione che in caso di arresti o sequestri avvisava tutti gli associati del pericolo e delle attenzioni delle forze di polizia.
LE “PROPAGGINI” SUI MERCATI DI TROPEA, LAMEZIA E CROTONE
Gli inquirenti ritengono di poter dimostrare - con “eventi accertati” - come il gruppo avesse sì la sua piena operatività nella zona di Gioia Tauro e di Rosarno, ma con un ambito territoriale vario e propaggini anche fuori della provincia reggina, come a Tropea, Lametia Terme e Crotone.
I militari hanno difatti documentato numerose cessioni di marijuana e cocaina avvenute in un contesto “organizzato nel quale tutto veniva coordinato e diretto dal livello gerarchicamente superiore” che curava i rapporti con i fornitori e si preoccupava costantemente di ripianare gli eventuali rapporti di debito e credito sulla fornitura.
Lo stupefacente - spiegano gli inquirenti - doveva essere collocato al dettaglio sul mercato in modo professionale, continuo e capillare.
Sarebbe emerso così in modo lampante come gli indagati si attenessero meticolosamente alle modalità con le quali dovevano intrattenere i rapporti tra loro, a quelle relative all’occultamento della droga e all’immediato approvvigionamento alla fonte, per evitare che la “clientela” potesse rivolgersi, insoddisfatta, ad un’altra rete di spaccio.
Le indagini hanno consentito anche di individuare la base logistica territoriale, in pratica una campagna nella disponibilità di Cambareri usata come riferimento per lo stoccaggio e il prelievo dello stupefacente.
LA CUSPIDE DEL GRUPPO, TRA CAPO E STRETTI COLLABORATORI
L’ipotesi è pertanto che del gruppo, oltre che Agostino Cambareri, facessero parte i suoi più stretti collaboratori, Giuseppe Cacciola e Giovanni Sicari, ritenuti come il vertice della consorteria.
Il ruolo direttivo di Cambareri sarebbe riconducibile al fatto che egli sarebbe stato l’unico in grado di determinare il prezzo della vendita al dettaglio e la qualità della droga trattata.
Nel corso delle indagini emergerebbe infatti come un esperto conoscitore di ogni tipo di stupefacente, “con una pluriennale esperienza nel campo”, sostengono gli investigatori.
Un ruolo di organizzatore - sempre secondo gli inquirenti - sarebbe stato quello di Sicari: un compito che viene desunto dalla rete di rapporti che sarebbe stato in grado di intessere e alimentare, “senza soluzione di continuità”, con diversi soggetti, anche lontani da Gioia Tauro, tutti comunque considerati come collegati al vertice del gruppo.
Cacciola, infine, viene ritenuto come “direttamente coinvolto nelle dinamiche del sodalizio” in una posizione subordinata rispetto a Cambareri (che sarebbe stato il suo fornitore abituale di droga oltre che la persona a cui corrispondere i guadagni illeciti) ma “sovraordinato, come organizzatore delle attività dell’associazione sul territorio di Tropea”, attraverso Saverio Fortunato e Francesco Mazzitelli, che sarebbero stati diretti da Cacciola nello smercio al dettaglio.
GLI ALTRI RUOLI: DALL’ASSAGGIATRICE AL “FIDELIZZATORE”
Nel materiale indiziario raccolto vi è anche l’identificazione compiuta di tutta la rete di soggetti a disposizione dei “vertici”, tra cui i fornitori abituali di stupefacente.
Tra questi viene indicato Massimo Camelliti che avrebbe intrattenuto rapporti diretti con Cambareri e Sicari. Altro elemento ritenuto “di spicco” è Massimiliano Mammoliti, “stabile acquirente … all’ingrosso” che avrebbe favorito il gruppo procacciando nuova clientela o “fidelizzando” quella già esistente, e fungendo, alla bisogna, da spacciatore nei confronti degli acquirenti abituali e gestendo la piazza di Oppido Mamertina.
Cambareri si sarebbe avvalso poi, nella gestione dei traffici a Gioia Tauro, della collaborazione di Marianna Ranieri: la donna sarebbe stata incaricata di provare la droga per testarne la qualità, ma anche di vendere al dettaglio e riscuotere i crediti vantati dai “clienti”.
Un altro soggetto considerato come “attivo partecipe” del gruppo, è Salvatore Lamonica, che sarebbe stato coinvolto nelle trattative per le cessioni di stupefacente come pure nella divisione dei guadagni che ne derivavano.
Il novero delle persone raggiunte dalla misura di oggi, comprende, infine, i quattro finiti ai domiciliari: Vincenzo Condello, Salvatore Bubba, Natale Giunta e Rocco Saraceno. A loro carico gli inquirenti avrebbero raccolto dei gravi indizi in ordine alla detenzione e cessione di droga, il tutto documentato in diverse circostanze.
L’operazione è scattata al termine delle indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri, ed eseguite dai Carabinieri del Comando Provinciale della città dello Stretto.