Giovane ucciso a Lamezia, al processo a parola agli inquirenti
Sei gli investigatori che hanno preso la parola oggi nel processo a carico di Aurelio e Aldo Notarianni, di 46 e 44 anni, e Domenico Giampa', 29 anni, tutti di Lamezia Terme, imputati per l'omicidio pluriaggravato di Roberto Amendola, il giovane di 23 anni ucciso il 13 novembre del 2008 a Lamezia Terme, il cui corpo venne trovato bruciato all'interno di un'auto data alle fiamme. I verbalizzanti hanno ripercorso le indagini svolte, hanno testimoniato poi su quanto appreso relativamente alle frequentazioni della vittima e, in particolare, sui soggetti noti alle forze dell'ordine che avevano avuto contatti con lui di tipo delinquenziale. Poi la Corte d'assise di Catanzaro, presieduta dal giudice Giuseppe Neri (a latere Annamaria Raschella'), ha rinviato il processo al 12 aprile per sentire altri testi del pubblico ministero Elio Romano, ed in particolare i consulenti tecnici fonico e balistico. Al processo sono costituiti parte civile i familiari della vittima, rappresentati dagli avvocati Angelo Bonifiglio e Barbara Friuli (del Foro di Messina), mentre gli avvocati Tiziana D'Agosto, Salvatore Staiano, Francesco Gambardella e Giuseppe Spinelli difendono gli imputati. Questi ultimi rispondono di un delitto atroce, dal momento che contro la giovane vittima, la sera di quel 13 novembre, furono sparati due colpi di pistola che lo raggiunsero alla testa ma senza ucciderlo tanto che, secondo le accuse, egli sarebbe stato ancora in vita quando i suoi killer gli diedero fuoco all'interno di una Lancia Y. Non a caso le aggravanti della premeditazione, della crudelta' e delle sevizie compaiono nel capo d'accusa di omicidio volontario contestato ai tre imputati, che finirono in manette circa nove mesi dopo il delitto, a seguito delle indagini dei carabinieri che giunsero a loro soprattutto grazie ad alcune intercettazioni effettuate nell'auto di Amendola, il quale era a sua volta sotto controllo per via del suo ipotizzato coinvolgimento in una serie di rapine. L'omicidio di Amendola, secondo la tesi degli inquirenti, sarebbe stata la risposta della sua ambizione di entrare da "autonomo" nel racket delle estorsioni, motivo per cui il giovane aveva deciso di munirsi di una pistola, chiedendo proprio agli imputati di aiutarlo a trovarla.