Al via il processo per l’omicidio Vinci. La famiglia resta sola: nessuno si è costituito parte civile
Nell’aula della Corte d’assise del Tribunale di Catanzaro si è svolta la prima udienza del processo per l’autobomba che nell’aprile del 2018, a Limbadi, uccise il biologo Matteo Vinci (LEGGI).
Alla sbarra Rosaria Mancuso, Domenico Di Grillo, Vito Barbara e Salvatore Mancuso. Gli imputati devono rispondere di omicidio, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di esplosivo, lesioni personali, armi e tentata estorsione, reati tutti aggravati dalle modalità mafiose. A processo anche Lucia Di Grillo, di 29 anni, che risponde soltanto dell’imputazione relativa alle armi.
In contrapposizione agli imputati Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla, la famiglia di Matteo. I coniugi Vinci erano da soli nell’ultima fila dell’aula.
Un vuoto tanto reale quanto simbolico poiché nessuno si è costituito parte civile nel procedimento: non ci sono istituzioni, enti locali, associazioni.
“Questa aula vuota è il segno di quello che abbiamo dovuto combattere fino adesso, l’omertà anche delle istituzioni. Davanti a questi comportamenti come si pretende che i cittadini si espongano alla violenza dei clan?”. È questo il commento della mamma di Matteo, Rosaria Scarpulla.
In udienza, la difesa di Rosaria Mancuso, parente di alcuni capi della cosca di Limbadi, si è vista respingere l’istanza sollevata sulla presunta nullità del decreto di fissazione dell’udienza preliminare in quanto era stato notificato solo all’altro co-difensore.
Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara vengono ritenuti “ideatori e promotori del delitto” in concorso con altri soggetti non identificati.
Inoltre Barbara, la Mancuso e il marito Domenico Di Grillo sono accusati del tentato omicidio di Francesco Vinci colpito ripetutamente con un’ascia e un forcone.