Il sistema per frodare il fisco tra coop e fatture false: l’dea di un commercialista e un bancario
Un “sistema” per aggirare il pagamento delle tasse, così come eventuali sanzioni ed interessi, ma anche l’Iva o risparmiare sui contributi previdenziali ed assistenziali.
Un meccanismo che sarebbe stato ideato da due professionisti, un commercialista del reggino ed un ex funzionario di banca e che, almeno secondo la Guardia di Finanza, avrebbe consentito di sottrarre al fisco imposte per oltre 3 milioni di euro.
Queste le conclusioni a cui sono giunte le fiamme gialle di Como e i loro colleghi di Olgiate Comasco, e la Squadra Mobile di Milano, che stamani hanno fatto spalancare le porte del carcere per 22 persone, mentre altre 12 sono finite ai domiciliari (QUI).
Agli indagati si contesta la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in pratica una presunta frode tributaria messa in atto in cinque anni - ovvero dal 2012 e fino al 2017 - attraverso ben 20 cooperative ed una società a responsabilità limitata.
Gli inquirenti contestano anche l’occultamento e la distruzione di documenti contabili; la bancarotta per distrazione (per un totale di oltre 15 milioni di euro) e documentale, con riferimento a 12 coop (con sedi tra il nord Italia e la Calabria) e tre Srl, tutte dichiarate fallite.
Ma anche il falso in bilancio (per un paio di aziende) e l’emissione di fatture “false” per oltre 24,5 milioni (per mezzo di altre coop) così come l’utilizzo delle stessa fatture per oltre 19 milioni.
Contestata ancora la turbativa di due gare pubbliche indette dal Comune di Como per l’affidamento in concessione di un ristorante e uno stabilimento balneare.
L’indagine di oggi costituisce lo sviluppo investigativo di un’altra eseguita su dei presunti reati tributari (come l’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti) avvenuti nella gestione di società cooperative.
Gli accertamenti - coordinati dalla Procura comasca - avrebbero dunque consentito di accertare come le dinamiche in materia tributaria e fallimentare sarebbero state ideate dai due professionisti di cui accennavamo, un commercialista di Gioia Tauro, Massimiliano Ficarra, e Cesare Giovanni Pravisano, un ex funzionario della banca Commercio ed Industria di Milano.
COME FUNZIONAVA IL MECCANISMO
L’ipotesi degli inquirenti è che utilizzando le loro competenze nel settore bancario i due avrebbero ideato ed attuato un “sistema di frode” finalizzato all’evasione fiscale, replicato ininterrottamente dal 2010, attraverso la sostituzione di società destinate apposta al fallimento (dei consorzi e società cooperative di lavoro) con nuove aziende costituite con la stessa finalità.
Un sistema che sarebbe stato ricostruito tramite gli accertamenti documentali e bancari effettuati dalle fiamme Gialle. In pratica - spiegano gli investigatori - il tutto funzionava così: venivano costituite delle cooperative di lavoro, come “soggetti giuridici di comodo”, intestati a prestanome e di fatto gestite da consorzi, e utilizzate come meri contenitori di forza lavoro e soggetti fiscali su cui dirottare gli oneri tributari e previdenziali, mai versati nel decennio di attività.
I consorzi rappresentavano invece il soggetto passivo d’imposta, dotato di un Durc (il Documento Unico di Regolarità Contributiva) fiscalmente in regola, e che presentavano le dichiarazioni fiscali e avevano alle dipendenze solo del personale con funzioni amministrative, regolarmente assunto.
Per realizzare il “sistema” era necessario che le coop emettessero fatture per operazioni inesistenti nei confronti dei consorzi, e nelle stesse si addebitavano falsamente i costi del personale.
Così facendo si sarebbe abbattuto l’ingente debito Iva della fatturazione delle prestazioni al consorzio, e un risparmio dei contributi previdenziali e assistenziali, che quest’ultimo avrebbe dovuto sostenere nel caso avesse assunto i dipendenti delle varie coop.
Infatti - aggiungono gli inquirenti - qualora le prestazioni fossero state rese direttamente dai consorzi, con la propria forza lavoro, questi avrebbero annoverato tra le componenti negative di reddito unicamente quelle relative al costo del personale dipendente assunto che, notoriamente, non genera un’Iva a credito.
Così facendo, invece, le consistenti somme di denaro trasferite dai consorzi alle cooperative, a pagamento delle false fatture, venivano successivamente prelevate dagli organizzatori della presunta frode tramite prelievi per contanti, assegni o con bonifici bancari a loro stessi, a pagamento dei propri compensi.
LA NECESSITÀ DELLE COOP DI LAVORO
Da qui sarebbe nata la necessità, per i presunti ideatori del sistema, di creare delle cooperative a cui attribuire formalmente l’assunzione del personale dipendente, creando così il presupposto per una ipotetica parvenza di operatività e poter quindi emettere fatture per la fornitura di manodopera nei confronti del consorzio, anche se le fatture emesse dalle coop indicavano genericamente come oggetto della prestazione quella “di servizi”).
Insomma, in questo modo i due professionisti “avrebbero abusato dello schema societario cooperativo non perseguendo alcuna finalità mutualistica ma sfruttando la normativa di favore prevista per le cooperative soggetti al fine di effettuare operazioni commerciali con evidente scopo di lucro, a proprio vantaggio e non dei soci delle cooperative, relegati a sostanziali ruoli di meri lavoratori dipendenti”, sostengono gli investigatori.
Le indagini avrebbero permesso di accertare che le cooperative sarebbero state tali solo sulla carta, ma di fatto vere e proprie società operanti prevalentemente nel settore delle pulizie e facchinaggio, ufficialmente intestate a cittadini italiani risultati essere dei meri prestanome, ma in realtà tutte riferibili ai due professionisti.
Queste “pseudo-cooperative”, che lavoravano in subappalto per conto dei consorzi, e ritenute riferibili a Pravisano e Ficarra, rimanevano in attività per circa due anni generando volumi d’affari piuttosto consistenti, mediamente oltre un milione di euro, che però sarebbero stati completamente nascosti al Fisco, dato che non presentavano alcuna dichiarazione fiscale.
Trascorso il periodo di operatività, venivano lasciate inattive e ne venivamo costituite di nuove che operavano nello stesso modo, con gli stessi clienti e nelle quali venivano trasferiti i soci e dipendenti che, nella gran parte dei casi, non erano neanche a conoscenza di essere inquadrati come tali.
LE COMMESSE CON ENTI PUBBLICI E PRIVATI
La tesi è che questa “apparente regolarità formale” avrebbe consentito agli indagati di far acquisire ai consorzi, di volta in volta costituiti, numerose commesse da parte di enti privati e pubblici nei settori del facchinaggio e pulizia.
Il tutto sarebbe stato possibile grazie ai contatti di Cesare Pravisano con un altro indagato, Marino Carugati, ex sindaco di Lomazzo e suo "socio d’affari", a cui si contesta la bancarotta per distrazione ed emissione di fatture a fronte di operazioni inesistenti.
Quanto alla gestione delle cooperative, sistematico sarebbe stato il ricorso a “prestanomi” sui quali far ricadere le responsabilità penali e tributarie.
Altrettanto sistematiche la distruzione delle scritture contabili delle società, l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per abbattere le imposte, e così consentire ai due professionisti di nascondere le eventuali loro responsabilità per i reiterati e gravi reati di bancarotta fraudolenta, frode fiscale e sottrazione fraudolenta.
LA DISTRUZIONE DEI DOCUMENTI PER FERMARE UNA VERIFICA
Altri approfondimenti investigativi eseguiti dalla Mobile di Milano e dalla Gdf di Como e Olgiate Comasco avrebbero permesso di accertare una presunta sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte da parte di Ficarra e Pravisano dopo delle perquisizioni che vennero eseguite nell’aprile del 2017.
Secondo gli investigatori sarebbe stato un modo per bloccare le verifiche fiscali aperte ed un provvedimento di sequestro.
Accertati anche lo stato di insolvenza delle società già indagate, e di cui è stato dichiarato il fallimento su istanza della Procura di Como con il conseguente accertamento di diversi reati di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale; e la reiterazione del sistema di frode fiscale tramite nuove cooperative e consorzi, attuato da Ficarra e Pravisano, con l’aiuto di collaboratori di fiducia e familiari.
Un altro elemento contestato è quello dell’utilizzo indebito e sistematico di carte di pagamento ricaricabili intestate a terzi e attraverso le quali sarebbero stati prelevati i profitti ritenuti illeciti ed ottenuti con la presunta frode fiscale, ma anche per svuotate le società cooperative dichiarate fallite.
IL RAGIONERE “DI FIDUCIA”
Durante le indagini è emersa poi la figura di un ragioniere, Bruno De Benedetto (nuovo professionista di fiducia di Ficarra) che secondo gli investigatori, oltre ad attivarsi per la costituzione dei nuovi veicoli societari, nel 2019 si sarebbe reso autore di condotte di bancarotta documentale e patrimoniale, esercizio arbitrario delle proprie ragioni e minaccia.
Fatti avvenuti nell’ambito del fallimento di una azienda e della collegata cessione del ramo d’azienda di quest’ultima a favore di un’altra società.
Ancora, si sarebbe acquisita una prova documentale di come il “sistema illecito” avrebbe garantito in via diretta o indiretta la percezione di cospicue somme di denaro a soggetti che sono indicati come appartenenti alla criminalità organizzata.
Dalle attività di intercettazione, poi, emergerebbero anche due episodi di turbativa di gare pubbliche indette dal Comune di Como per l’affidamento in concessione del “ristorante Spiaggia” e dello stabilimento balneare con annesso bar “Lido di Villa Olmo”.
Turbative che sarebbero avvenute attraverso la partecipazione di più società, riconducibili a De Benedetto, facendo dirottare la scelta, quanto alla prima gara, su un’azienda priva di mezzi e personale, considerata come di fatto gestita dal ragioniere ma intestata a prestanomi. La gestione dello stabilimento veniva invece aggiudicata ad una Snc, estranea alla presunta turbativa.
Nell’ambito dell’operazione di oggi la polizia giudiziaria sta eseguendo anche dei provvedimenti di sequestro dei proventi dei presunti reati tributari contestati agli indagati. In corso inoltre una articolata attività di perquisizione in varie località, tra la Lombardia e la Calabria.