Colpo al cuore dei Bellocco: “boss” in manette, smembrate le articolazioni extra regionali
Un colpo inflitto proprio al cuore della ‘ndrina dei Bellocco. È questa l’estrema sintesi dell’operazione della Guardia di Finanza di Reggio Calabria - denominata “Magma” (QUI) - che oggi ha consentito di “destrutturare” completamente la cosca di ‘ndrangheta rosarnese e le sue articolazioni extra regionali, traendo in arresto tutti coloro che sono ritenuti al vertice della “famiglia” appartenente al “mandamento tirrenico” e operante nella piana di Gioia Tauro, in Emilia Romagna, ne Lazio e in Lombardia.
Dalle prime luci dell’alba, le fiamme gialle reggine – insieme a personale del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, assistiti dai colleghi elicotteristi del Comparto AeroNavale del Corpo - stanno eseguendo un’ordinanza di applicazione di una misura cautelare personale in carcere e ai domiciliari, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari, nei confronti di 45 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico internazionale di stupefacenti, detenzione di armi e rapina aggravate dall’utilizzo del metodo mafioso e della transnazionalità del reato.
IL POTERE DELLA “FAMIGLIA”
Secondo quanto appreso dagli inquirenti, i Bellocco, avvalendosi della loro forza intimidatrice e delle “conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà” creatisi nelle regioni dove operavano, avrebbero attuato un controllo capillare di ogni aspetto della vita, specie pubblica ed economica, con l’intento di arrivare al controllo egemonico del territorio, realizzato anche attraverso accordi con altre organizzazioni criminali omologhe, come cosca Pesce di Rosarno, i Gallace ad Anzio, i Morabito di Africo, e commettendo delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumità individuale, in materia di armi e stupefacenti.
LE INDAGINI DELL’OPERAZIONE “RIO DE JANEIRO”
I primi passi dell’operazione di oggi si sono mossi in concomitanza ad un precedente blitz del Goa delle fiamme gialle e denominato “Rio De Janeiro”, concernente il sequestro di un ingente quantitativo di cocaina, pari a circa 385 chilogrammi (QUI).
Il grosso carico di polvere bianca era stato gettato in mare da degli operatori navali “infedeli”, all’epoca dei fatti imbarcati su una nave portacontainer, la “Hamburg Sud - Rio De Janeiro”, giunta al porto di Gioia Tauro ad ottobre del 2016.
In quella circostanza, la cocaina, nascosta in dei borsoni impermeabilizzati e legati tra di loro con funi e boe di galleggiamento, venne buttata in acqua secondo le direttive impartite dalle organizzazioni criminali calabresi che specificarono anche il punto esatto dello scarico così da poterla recuperare. Il tutto, come dicevamo, con la compiacenza di nove marinai, a quel tempo individuati e sottoposti a fermo di indiziato di delitto.
LA DROGA A GIOIA TAURO E NEI PORTI INTERNAZIONALI
Proprio da questo sequestro è scaturiva un’imponente e complessa attività d’indagine che, sebbene ostacolata della metodologia di comunicazione utilizzata dagli indagati e dalla oculatezza nella scelta dei luoghi di incontro, ha portato comunque a dare un nome e un volto a tutti i presunti componenti dell’organizzazione, le cui attività principali erano quelle dell’approvvigionamento di ingenti quantitativi di stupefacente, di portare a termine svariate compravendite di narcotico da far giungere presso gli scali portuali nazionali, come appunto quello calabrese, e internazionali, come Rotterdam (Olanda) e Le Havre (Francia), interfacciandosi, in questi siti, con organizzazioni autonome dotate anche lì di batterie di operatori portuali infedeli.
IL RIFORNIMENTO DI COCAINA IN ARGENTINA E COSTARICA
Il gruppo, - sempre secondo quanto riportato da fonti investigative - articolato su più livelli e dotato di elevatissime disponibilità finanziarie, come luogo da cui importare la cocaina aveva individuato il Sudamerica, in particolare l’Argentina e il Costarica. Da qui sarebbero arrivate le grosse partite di droga da inviare in Italia e nascoste, per il trasporto navale, in appositi borsoni all'interno di container.
A questo scopo gli uomini della cosca Bellocco si sarebbero serviti di alcuni emissari che avrebbero effettuato diversi viaggi in Sudamerica per visionare lo stupefacente e contrattare con i referenti locali così da poter organizzare gli aspetti logistici dell’importazione.
I “COLLETTI BIANCHI” ITALO-ARGENTINI
Grazie alla preventiva e tempestiva apertura di un canale di collaborazione tra la Guardia di Finanza di Reggio Calabria e la Gendarmeria Argentina - per il tramite di un’apposita Rogatoria Internazionale promossa dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria- sarebbe stato possibile accertare che proprio a Buenos Aires l’associazione criminale calabrese poteva contare sulla collaborazione di alcuni “colletti bianchi” italo-argentini, considerati intranei all’organizzazione, e disposti ad agevolare la pianificazione dei traffici illeciti e l’importazione della coca.
In questo contesto, uno di questi, sfruttando le proprie conoscenze, sarebbe riuscito ad ottenere informazioni riservate riguardanti l’attività d’indagine avviata presso il Tribunale Penale-Economico di Buenos Aires, informando tempestivamente i sodali calabresi e fornendo loro anche copia di alcuni atti di indagine.
L’emissario in Sud America dei Bellocco non si sarebbe limitato però alla mera funzione di intermediario sui traffici, ma si sarebbe prodigato anche per risolvere questioni estremamente rilevanti che hanno interessato la famiglia di ‘ndrangheta dei Morabito di Africo.
A tal fine, sostengono le fiamme gialle, “risulta emblematico il coinvolgimento dell’emissario con alcuni componenti della cosca Morabito per far pervenire in territorio uruguagio una ingente somma di denaro, pari a 50 mila euro, finalizzata a far scarcerare Rocco Morabito, detto ‘Tamunga’, arrestato dopo una significativa latitanza (QUI) e successivamente evaso” (QUI).
LE COLTIVAZIONI IN TOSCANA E LA RAPINA ALLE POSTE
La stessa organizzazione, diversificando i propri affari, avrebbe curato anche la coltivazione di cannabis indica, utilizzando alcune serre dislocate in Toscana per poi adoperarsi, attraverso una fitta rete di spacciatori, nella relativa cessione sull’intero territorio nazionale.
Inoltre, alcuni componenti dell’organizzazione, per approvvigionarsi somme importanti di denaro contante da investire successivamente nell’acquisto della droga, avrebbero organizzato una rapina presso un istituto Postale del Lazio.
A tal proposito, le attività investigative avrebbero permesso di monitorare alcuni degli indagati mentre effettuavano diversi sopralluoghi e riprese video del posto dove doveva essere consumata la rapina documentando, tra l’altro, i movimenti dei furgoni portavalori e la condotta delle guardie giurate.
Grazie al tempestivo intervento dei militari del GOA di Reggio Calabria, era stato tratto in arresto un membro del sodalizio criminale, colto in flagranza per possesso di armi, munizionamento, guanti e passamontagna, da utilizzare per eseguire l’azione, oltre che in possesso di stupefacente destinato allo spaccio.
Armi che si è poi scoperto provenivano dalla Calabria ed inviate dall0associazione criminale con l’espediente di un pacco anonimo trasportato su un autobus di linea e con la complicità dell’autista appositamente assoldato.
LA SVOLTA DI OGGI
Le attività investigative, culminate con le ordinanze eseguite oggi, hanno permesso di sequestrare circa 400 Kg di cocaina, 30 di hashish, 15 di marijuana, un fucile d’assalto automatico, tre pistole semiautomatiche, un silenziatore e munizionamento di vario calibro.
A corollario, è interessante sottolineare come dei 45 soggetti colpiti oggi dal provvedimento restrittivo ben cinque di questi, risultino anche percettori del reddito di cittadinanza.
L’esecuzione delle misure rappresenta dunque l’epilogo di un’importante e complessa indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, coordinata dall’Aggiunto Gaetano Calogero Paci e dal Sostituto Francesco Ponzetta e condotta dal Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata - G.O.A. del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Reggio Calabria.
I NOMI DEGLI ARRESTATI
La custodia cautelare prevede il carcere per 37 degli arrestati e i domiciliari per i restanti otto. Ai Domiciliari, dunque, sono finiti, Silvia D’Aagapiti, cl’ 91; Andrea Fiori, cl’ 69; Giovannella Giancana, cl’ 86; Fabrizio Lorenzo, cl’ 75; Claudio Lucifero, cl’ 63; Valentina Pizzuti, cl’ 74; Vanessa Rocchi, cl’ 80; Mario Bellocco, cl’ 41.
In carcere, invece: Carmelo Aglioti, cl’ 48; Fabrizio Bartolomei, cl’ 74; Domenico Bellocco, cl’ 76; Domenico Bellocco, cl’ 80; Umberto Bellocco, cl’ 91; Salvatore Celini, cl’ 90; Emanuele Copelli, cl’ 78; Francesco Corrao, cl’ 88; Fabrizio Ferro, cl’ 73; Marco Fiori, cl’ 73; Alessandro Fonti, cl’ 72; Francesco Fortini, cl’ 91; Bruno Gallace, cl’ 72; Vincenzo Gallizzi, cl’ 90;
Vincenzo Italiano, cl’ 71; Francesco Antonio Loiacono, cl’ 90; Pasquale Loiacono, cl’ 93; Antonio Loprete, cl’ 69; Giuseppe Loprete, cl’ 93; Nicola Marinelli, cl’ 71; Natale Martorano, cl’ 72; Simone Massidda, cl’ 78; Domenico Mercuri, cl’ 90; Francesco Morano, detto Gianfranco, cl’ 68; Antonio Orani, cl’ 72; Vincenzo Pesce, cl’ 52; Vincenzo Pellegrino, cl’ 59; Giuseppe Pirrotta, cl’ 83; Domenico Scandinaro, cl’ 84; Gianluca Straputicari, cl’ 88.
In cella sono finiti anche Antonio Loprete, cl’ 69, e Giuseppe Loprete, cl’ 93, - rispettivamente padre e figlio – coinvolti nell’operazione in questione e contestualmente nell’operazione denominata “Hope”, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotta dal ROS. (QUI)