Fiumi di coca in transito nei “porti della ‘ndrangheta”: 5 arresti, fermati gli “importatori”
Cinque persone finite in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, in particolare di cocaina: secondo gli inquirenti farebbero parte di un gruppo che avrebbe operato sotto l’egida della cosca di ‘ndrangheta dei Bellocco di Rosarno.
Le manette sono scattate stamani, nel corso dell’operazione chiamata in codice "Balboa" e su ordine del Gip del capoluogo dello Stretto hanno raggiunto - tra le province di Roma, Reggio Calabria e Sassari - Umberto Emanuele Oliveri, 32 anni; Domenico Pepè, 64; Alessandro Galanti, 38; Antonio Ponziani, 34; e Alessandro Larosa, 41.
Il bliz è stato condotto dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria e dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata delle fiamme gialle, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri.
LA TESI degli inquirenti è che i cinque avrebbe dunque fatto parte di un’organizzazione articolata su più livelli, composta anche da squadre di operatori portuali ritenuti “infedeli”, e così avrebbero reperito, acquistato e importato dall’estero degli ingenti quantitativi di cocaina per conto del clan rosarnese.
Lo stupefacente sarebbe stato fatto giungere in Italia attraverso delle navi in arrivo nel porto di Gioia Tauro ed in altri scali nazionali.
L’operazione di oggi rappresenta l’epilogo di una complessa attività investigativa svolta dal Goa di Reggio Calabria che mira a dimostrare come a capo del gruppo criminale vi fosse uno degli arrestati, Umberto Emanuele Oliveri, e come fosse alla continua ricerca di coca da far giungere nel porto calabrese dal Sud America e dal Nord Europa (in particolare dal Belgio, Brasile, Argentina, Ecuador e Perù).
Oliveri sarebbe legato da uno stretto vincolo di parentela con Umberto Bellocco, 82enne presunto boss dell’omonima cosca rosarnese, di cui avrebbe fatto parte anche lo stesso 32enne.
Nelle indagini, emergerebbero poi i ruoli degli altri soggetti finiti in carcere. Sempre secondo gli investigatori, in particolare, Galanti sarebbe stato un vero e proprio broker internazionale, in contatto con i narcos esteri che producono la droga.
Larosa e Ponziani, invece, avrebbero aiutato Oliveri e Galanti nell’organizzazione delle forniture. Pepè, infine, sarebbe stato un “uomo di fiducia” anch’egli occupandosi dell’acquisto e dell’importazione della cocaina.
LA DROGA NEI CONTAINER E IL SISTEMA DEL “RIP-ON”
Gli inquirenti sostengono di aver scoperto come lo stupefacente arrivasse in Italia. Come al solito al centro del traffico il porto di Gioia Tauro.
Qui giungeva la polvere bianca nascosta con l’ormai nota modalità del cosiddetto “rip on”, ovvero in borsoni trasportati tra i container e pronti per essere prelevati.
Una volta presi quest’ultimi, degli operatori portuali infedeli, incaricati da Oliveri, la esfiltravano e la portavano fuori dalla infrastruttura.
Al riguardo, nell’ambito dello stesso procedimento penale, sono stati sottoposti a sequestro, nel complesso, ben 527 panetti di cocaina purissima, per un peso complessivo di quasi 600 chili, e si sono anche ricostruite diverse importazioni dello stesso stupefacente, per un totale di altri 300 chilogrammi.
Gli inquirenti sostengono poi che gli arrestati contassero su una fitta rete di contatti, talmente ramificata da essere in grado di recuperare la droga non solo dal porto di Gioia Tauro, ma anche da altri scali nazionali ed esteri, avvalendosi della forza intimidatrice esercitata dalla stessa cosca di appartenenza.
Alla luce di queste risultanze - condividendo le argomentazioni prospettate dalla DDA, coordinata per l’area tirrenica dal Procuratore Aggiunto Gaetano Paci - il Gip del Tribunale di Reggio Calabria, ha ritenuto sussistente la gravità indiziaria del contesto delineato, emettendo il provvedimento cautelare nei confronti dei cinque che, dopo l’arresto, sono stati trasferiti nelle competenti Case Circondariali.
GIOIA TAURO STRATEGICO: UN VERO E PROPRIO SNODO DELLA DROGA
Le fiamme gialle spiegano come l’operazione “Balboa” abbia “ribadito l’importanza strategica assunta nel tempo per le consorterie criminali di stampo mafioso dal porto di Gioia Tauro, vero e proprio snodo commerciale per l’importazione di ingenti quantitativi di narcotico provenienti dal Sud America e dal resto d’Europa”.
Un’importanza che sarebbe confermata dai recenti e numerosi sequestri di cocaina purissima, per centinaia e centinaia di chili, eseguiti dai militari della Guardia di Finanza nello stesso scalo, nonostante nel 2018 si fosse assistito ad un calo vertiginoso degli stessi.
Un altro elemento a conferma sarebbero poi le evidenze giudiziarie, in parte già cristallizzate in delle sentenze di condanna emerse con le operazioni condotte sempre dalla Sezione GOA delle fiamme gialle.
La prima è quella del luglio del 2014 quando, nell’ambito dell’operazione “Puerto Liberado”, furono eseguite 18 misure cautelari in carcere (LEGGI), cui seguirono numerose condanne confermate in appello (con sentenza del 2017) .
Poi, nel luglio del 2016, nell’ambito dell’operazione denominata “Vulcano”: allora in 15 finirono in manette disarticolando un’associazione sempre finalizzata al traffico internazionale di cocaina per conto delle potenti cosche di ‘ndrangheta dei Molè, Piromalli, Alvaro, Crea e Pesce (LEGGI).
Anche in questa occasione tutti i 22 imputati che avevano scelto il rito abbreviato furono condannati dal Gup del Tribunale locale.