Guerra ai “tombaroli”. Tpc: restituito alla collettività un patrimonio da 10 milioni di euro
Una lunga “guerra” che ha visto attivare diverse azioni investigative e che ha consentito agli specialisti dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza di recuperare migliaia pezzi del patrimonio culturale italiano.
Beni del valore stimato in oltre 10 milioni di euro e che sono così tornati a beneficio della collettività: reperti archeologici frutto di scavi clandestini; pezzi d’antiquariato, tra cui importanti dipinti commercializzati in Calabria e provenienti da furti in abitazione avvenuti in tutto il paese; ma anche diverse opere d’arte contemporanea false.
Numerosi, inoltre, sono stati i sequestri di immobili costruiti abusivamente all’interno di aree tutelate perché di interesse archeologico e paesaggistico.
Il Nucleo di Cosenza ha proseguito, nel 2019, con l’attività di prevenzione che, associata alla costante attività repressiva, ha consentito di contrastare efficacemente le aggressioni criminali al patrimonio culturale calabrese.
I risultati conseguiti hanno portato all’arresto di ben 28 persone arrestate, due delle quali in flagranza; alla denuncia in stato di libertà di altre 145, di cui 31 per reati contro il paesaggio.
43, poi, i beni antiquariali recuperati; 3.859 i reperti archeologici; 6 i controlli di sicurezza eseguiti a musei, biblioteche e archivi, finalizzati a prevenire furti e danneggiamenti; 48 quelli effettuati ad aree archeologiche e con lo scopo di evitare attività di scavi clandestini.
42 i controlli ad aree paesaggistiche e monumentali finalizzati a prevenire abusi edilizi; 27 ad attività antiquariali, fiere e mercatini di settore per prevenire eventuali reati di ricettazione e riciclaggio.
L’OPERAZIONE “ACHEI”
Tra le attività svolta dal Tpc, due quelle di maggiore rilievo. Tra queste l’indagine denominata “Achei” (QUI), con cui è stata messa in luce l’esistenza di una articolata e ben strutturata associazione criminale, con base nel Crotonese ma con ramificazioni in altre regioni del territorio nazionale ed estero, dedita non solo agli scavi clandestini, ma anche alla ricettazione di materiale archeologico provento degli stessi.
Le fasi del traffico illecito sono state documentate dettagliatamente attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, riprese video, pedinamenti, sequestri, fino ad arrivare alla vendita a collezionisti finali.
Sono state documentate diverse aggressioni ai danni di siti archeologici calabresi, tra i quali “Apollo Leo” di Cirò Marina (nel crotonese), “Castiglione di Paludi” e “Cerasello” di Pietrapaola (nel cosentino).
In tal senso, significative sono le immagini realizzate, mediante l’utilizzo di un drone, che testimoniano la violenza con cui, in un’area di interesse archeologico calabrese, il gruppo criminale aveva operato degli scavi clandestini (QUI), con impietosa durezza, scagliando colpi al suolo attraverso l’utilizzo di un escavatore, “nell’ingordo intento di sottrarre quanto di più prezioso il sottosuolo ancora custodiva”, affermano gli stessi investigatori.
Le acquisizioni investigative avrebbero poi certificato dei collegamenti con alcuni soggetti esteri legati al traffico di reperti archeologici.
Le attività di indagine nei vari Paesi coinvolti (Francia, Germania, Inghilterra e Serbia), sono state condotte in sinergia con le Forze di Polizia estere e coordinate da Europol, che ha organizzato uno specifico meeting operativo, ed Eurojust, per il coordinamento delle Autorità Giudiziaria coinvolte nell’attività investigativa.
Le misure cautelari personali disposte dal Gip del Tribunale di Crotone sono state allora 23, di cui 2 in carcere e 21 ai domiciliari. Contestualmente sono state effettuate altre 80 perquisizioni, eseguite in tutto il territorio nazionale ma anche in Inghilterra, Francia, Germania e Serbia.
Destinatari delle stesse sono state persone indagate nell’ambito dello stesso procedimento, alle quali sono stati notificati i relativi avvisi di garanzia.
L’indagine ha consentito, inoltre, di recuperare più di 3.800 reperti archeologici e numerosi attrezzi ed apparecchiature utilizzate, all’interno di diversi ed importanti siti archeologici della Calabria, per eseguire le ricerche illecite di beni archeologici.
L’OPERAZIONE “ANTIQUES”
L’altra importante attività investigativa è stata convenzionalmente denominata “Antiques” (QUI): condotta con il contributo del Nucleo TPC di Napoli e coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, ha consentito di dare esecuzione a sette misure cautelari con le quali sono stati disposti i domiciliari nei confronti di altrettanti presunti membri di un’associazione per delinquere, con base a Napoli e Brescia, finalizzata alla ricettazione ed alla esportazione illecita di beni antiquariali, provento di attività delittuosa, sui mercati francesi di Beziers, Montpellier ed Avignone.
Nella circostanza, sono state deferite in stato di libertà altre diciannove persone e, contestualmente, si è data esecuzione a 27 perquisizioni locali eseguite sull’intero territorio nazionale.
L’attività ha consentito poi di recuperare numerosi beni di rilevanza storico-artistica, dal Seicento all’Ottocento italiano, provento di furto ai danni di abitazioni private, per un valore di circa 500 mila euro.
Molti beni sono stati sequestrati al valico di Ventimiglia e stimati da un funzionario del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, questi ne ha quantificato il valore economico complessivo in circa 1,5 milioni di euro.
Inoltre, molti beni sono stati esportati in Francia senza la prescritta autorizzazione ministeriale. In particolare, si tratta, prevalentemente, di elementi di arredo antico e di pregio, quali: sculture in marmo e bronzo, consolles, dipinti su tavola e su tela, suppellettili in argento, in ceramica e in porcellana.