Crotone. Scacco al traffico di reperti archeologici. Inquirenti: territorio “violentato” e saccheggiato

Crotone Cronaca

La ricchezza di un territorio straordinario, quello calabrese, ma che “qualcuno ha cercato di distruggere, che qualcuno ha cercato di violentare, che qualcuno ha cercato di cancellare per sempre e per farne un mercato illecito”.

Ci va giù pesante il numero uno del Nucleo romano dei Carabinieri specializzati nella Tutela Culturale, il tenente colonnello Valerio Marra, nel presentare i risultati dell’operazione Achei, che stamani ha fatto scattare le manette ai polsi di 23 persone, due della quali finite in carcere e le altre ai domiciliari, sebbene e nel complesso siano - loro compresi - oltre un centinaio gli indagati (QUI I NOMI).

Secondo gli inquirenti avrebbero tutti fatto parte di una “struttura” ben organizzata che avrebbe messo su un vero e proprio “giro” di reperti archeologici, contando su un gruppo di presunti tombaroli attrezzati di mezzi anche all’avanguardia nello scovare “tesori”, poi da “vendere” in Europa (Regno Unito, Germania, Francia e Serbia) attraverso una fitta rete di “distruzione”, anche tramite case d’asta estere. In un caso finiti addirittura in vendita online, praticamente alla luce del sole.

Un’organizzazione che avrebbe la sua base operativa nel triangolo geografico compreso fra i comuni di Scandale, Cirò e Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, “depredando” anche con “violenza” - è stato sottolineato - aree archeologiche rilevanti, come quella di Capo Colonna nel capoluogo pitagorico; o di Apollo Aleo di Cirò Marina; di Castiglione di Paludi, nel cosentino; e molte altre come quella di Cerasello che, seppur non soggetta a vincolo ha un indiscutibile interesse, o tante aree private sia nel crotonese che nella provincia bruzia.

I “SACCHEGGI SISTEMATICI”

Dei “sistematici saccheggi” li hanno etichettati gli inquirenti - coordinati nelle indagini dalla Procura locale e dirette dal Pm Alfredo Manca - e messi in atto da una squadra che “con un’organizzata ed articolata spartizione di competenze” avrebbe così approvvigionato il mercato clandestino di reperti anche di valore economico importante.

Tant’è che tutti gli indagati, ha precisato sempre il tenente colonnello Marra, rispondono di associazione per delinquere finalizzata alla distruzione del patrimonio archeologico dello Stato, di ricettazione e dell’esportazione illecita dei beni all’estero.

“È questa una doverosa premessa - ha sottolineato ancora il comandante del Tpc di Roma commentando i reati contestati - ed a cui aggiungiamo che altre ottanta persone sono state sottoposte a perquisizioni domiciliari in varie regioni d’Italia … e all’estero”.

“Questo - ha proseguito Marra - è importante per capire un altro aspetto, cioè quello della suddivisione dei ruoli nel contesto … ovvero due di questi soggetti sono stati sottoposti dal Gip alla misura cautelare più grave, quella del carcere, perché sono ritenuti i capi e promotori dell’organizzazione, che ha forti radici in questa provincia. Uno abita a Cirò Marina e l’altro a Scandale”.

Il comandante si riferisce in particolare a Giorgio Salvatore Pucci, 59enne di Cirò Marina, e Alessandro Giovinazzi, 30enne di Scandale.

Quest’ultimo viene considerato il “capo” del gruppo di tombaroli del crotonese. Giovinazzi, invece, si ritiene sia colui che abbia avuto diversi collegamenti con soggetti italiani molto interessatia beni archeologici scavati illecitamente: “ma - aggiunge Marra - anche (collegamenti, ndr) all’estero, in particolare in Gran Bretagna dove c’è una casa d’aste, dove c’è un soggetto fortemente inserito nel circuito di una casa d’aste perché ne è l’amministratore; e poi anche con la Germania dove c’è una casa d’aste onlineche avrebbe commercializzato illegalmente i reperti sul web.

Anche in Francia e Spagna, poi, sono coinvolti altrettanti soggetti: nel primo caso si tratta di un italiano che vive stabilmente in quel paese e che sarebbe stato interessato alla filiera del traffico. In Spagna, invece, è stato identificato un serbo che avrebbe avuto dei collegamenti con un italiano residente nel Centro Nord (raggiunto oggi dalla misura cautelare).

LA “CRIMINALITÀ ARCHEOLOGICA CALABRESE”

Gli arresti di oggi, insomma, arrivano al termine di una indagine complessa, sviluppata dai Carabinieri del TPC di Cosenza a partire dal maggio 2017 e conclusasi nel luglio del 2018.

Il tutto ha preso il via da una serie di accertamenti di iniziativa susseguenti ad alcune acquisizioni info-investigative da parte dei militari del reparto speciale dell’Arma, e che hanno permesso di riscontrare la presenza di numerosi scavi clandestini condotti nei vari siti archeologici.

Le successive investigazioni hanno portato così ad accertare l’esistenza del vasto traffico nazionale ed internazionale dei reperti e identificarne i presunti componenti che avrebbero fatto parte di “un ramificato e strutturato sodalizio criminoso in grado di gestire tutte le fasi del traffico”.

Dal monitoraggio delle aree archeologiche, insomma, si è arrivati alla “rete”: tombaroli, intermediari e ricettatori che, per qualità e quantità degli illeciti commessi, e per le caratteristiche strutturali ed organizzative, rappresenterebbero quello che viene definito dagli investigatori come “un vero e proprio fenomeno criminale”, secondo il Gip addirittura una Criminalità Archeologica Crotonese”, radicata nella provincia pitagorica e capace di alimentare il reddito di interi gruppi familiari.

Le fasi del traffico sono state così scoperte e documentate dettagliatamente attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, riprese video, pedinamenti, sequestri, fino ad arrivare alla vendita ai collezionisti finali.

Significative sono le immagini realizzate con un drone, che testimonierebbero la violenza con cui, in un’area di interesse archeologico, il gruppo ha operato degli scavi clandestini, scagliando colpi al suolo con un escavatore, “nell’ingordo intento - affermano gli inquirenti - di sottrarre quanto di più prezioso il sottosuolo ancora custodiva”.

In quella circostanza, però, non riuscirono a completare il “lavoro” per l’intervento immediato dei Carabinieri che bloccarono, in flagranza di reato, alcuni degli arrestati di oggi.

Nelle stesse riprese vengono ritratti anche altri soggetti che, seppur non impegnati direttamente nell’attività di scavo clandestino, avrebbero avuto il compito di esaminare il terreno con dei sofisticati metal detector.

GLI “APPARTAMENTI”, “ASPARAGI” E LA “MOTOSEGA”

L’agire del gruppo viene definito, insomma, organizzato secondo vere e proprie modalità imprenditoriali tipiche delle associazioni ben strutturate”.

I vertici avrebbero così diretto e controllato l’attività dei sodali, pianificato le singole spedizioni ed individuato i luoghi di interesse, grazie alle competenze specifiche in materia.

Inoltre, si sarebbero predisposte delle modalità operative per scongiurare, o quanto meno contenere, il rischio di controlli da parte delle forze dell’ordine, anche attraverso l’utilizzo di canali di comunicazione di difficile intercettazione.

I sodali, dal canto loro, si sarebbero mostrati tutti astuti e prudenti, consapevoli di dover “parlare poco” e di utilizzare un linguaggio criptico per riferirsi al materiale archeologico (parole come “appartamenti”, “asparagi” o “motosega”, termine con il quale veniva abitualmente indicato il dispositivo “cerca metalli”).

Quanto ai presunti capi, i due crotonesi arrestati, sarebbero dei cultori di archeologia e conoscitori dei luoghi in cui reperire il materiale archeologico da introdurre sul mercato. Entrambi sarebbero stati costantemente impegnati nell'attività di ricerca clandestina dei reperti e, stabilmente tra loro, collegati nel circuito di commercializzazione degli stessi.

Nello specifico, avrebbero organizzato e diretto il gruppo criminale, programmando la realizzazione dei singoli reati e contribuendo materialmente alla loro realizzazione.

In territorio italiano l’operazione è stata condotta in sinergia con i Comandi Provinciali Carabinieri di Crotone, Bari, Benevento, Bolzano, Caserta, Catania, Catanzaro, Cosenza, Ferrara, Frosinone, Latina, Matera, Milano, Perugia, Potenza, Ravenna, Reggio Calabria, Roma, Siena, Terni, Viterbo; ed il supporto dell’8° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo Valentia, dello Squadrone Eliportato “Cacciatori di Calabria” e del Nucleo Cinofili di Vibo Valentia.

Contemporaneamente, in ambito europeo, grazie al coordinamento di Europol ed Eurojust, sono state eseguite, su Ordine Europeo di Indagine, delle perquisizioni nei luoghi di dimora di quattro indagati domiciliati in Gran Bretagna, Francia, Germania e Serbia.

Oltre 350 i militari impiegati, che hanno operato in Italia ed all'estero, congiuntamente agli investigatori della Metropolitan Police di Londra, della Polizia Criminale del Baden-Württemberg, dell’Ufficio Centrale di Polizia Francese per la lotta al Traffico Internazionale di Beni Culturali e del Servizio Serbo per la Lotta alla Criminalità Organizzata.

Valida nelle indagini anche la collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, che ha fornito, in ogni fase, un fattivo contributo nelle specifiche competenze.