Nel campo rom il “mercato” della auto rubate: anche le vittime sapevano a chi rivolgersi
In due finiti in carcere, altri nove ai domiciliari, e due ancora sottoposti rispettivamente ad un obbligo di dimora ed ad uno di presentazione alla polizia giudiziaria.
Questo l’esito dell’operazione “Gipsy Village” (QUI) scattata all’alba di stamani e con cui si ritiene di aver smantellato una banda di estorsori, stanziali nel villaggio degli zingari di Cosenza, e che avrebbe “vessato” le proprie vittime con l’ormai noto sistema del “cavallo di ritorno”.
Gli inquirenti gli contestano, a vario titolo, una dozzina di episodi tra furti e ricettazioni di mezzi (in particolare tre furgoni e nove auto), oltre a nove estorsioni per ottenere, da parte dei malcapitati, la restituzione dei loro veicoli, e altri due tentativi di estorsione.
Tutti che si sarebbero consumati in un anno intero, esattamente dal gennaio del 2019 allo stesso mese di quest’anno.
L’operazione è un seguito di altri due blitz, “Scacco al Cavallo” e “Scacco al Cavallo 2” (QUI), eseguiti dai Carabinieri di Cosenza rispettivamente il 16 novembre 2018 (QUI) e il 4 luglio del 2019 (QUI), e che già portarono all’arresto di alcuni degli indagati di oggi.
L’indagine - avviata dai militari della Stazione Principale del capoluogo dal mese di maggio del 2019, e coordinata dal Procuratore Mario Spagnuolo e dal Sostituto Antonio Bruno Tridico - è stata condotta a seguito di una seria recrudescenza di furti di veicoli nell’area urbana bruzia, molti dei quali ritrovati poi pochi giorni dopo la presentazione della denuncia.
L’attività, fondata principalmente sull’assunzione a sommarie informazioni delle vittime, proprio dopo il rinvenimento dei mezzi, e proseguita successivamente con intercettazioni attivate su cabine telefoniche pubbliche e installando delle telecamere, avrebbe portato a documentare come la banda, composta in gran parte da soggetti di etnia rom, con un metodo definito “collaudato”, riuscisse a contattare i proprietari delle autovetture trafugate costringendoli alla consegna di denaro per la loro restituzione.
LA BASE LOGISTICA E LA “COPERTURA” DEI RESIDENTI
Gli indagati, una volta individuato il proprietario del veicolo, si presume tramite i documenti contenuti all'interno o a volte per l’iniziativa assunta direttamente dalla stessa vittima, stabilivano il primo contatto nel quale invitavano quest’ultima ad andare in via degli Stadi, all’interno del cosiddetto “Villaggio degli Zingari”, sede del quartiere degli stessi e completamente controllato.
Gli investigatori spiegano infatti che proprio il villaggio rom di via degli Stadi sia il “teatro” da dove nasca e si sviluppi questa articolata “filiera criminale”, un luogo che lo stesso Gip di Cosenza, nell’ordinanza, definisce come “la base logistica” all’interno della quale i vari indagati avrebbero operato con ruoli “fluidi ed interscambiabili”, essendo indispensabile una cooperazione di più persone per commettere i furti, custodire i mezzi trafugati e gestire i rapporti con le persone offese.
Tutte fasi, queste, che avrebbero potuto essere condotte nell’assoluta sicurezza della “copertura” offerta dalla complicità delle persone che vi risiedono.
Le vittime, quindi, venivano agganciate sul luogo del furto o attraverso telefonate partite da cabine telefoniche pubbliche, con l’indicazione delle modalità per ottenere la restituzione dell’autovettura.
LE VITTIME ANDAVANO DA SOLE A CHIEDERE DI TRATTARE
Tra i tanti episodi documentati, vi sono anche casi in cui le stesse vittime avrebbero deciso di recarsi direttamente nel quartiere di via degli Stadi, per chiedere a “referenti” di poter recuperare il proprio mezzo e conscie di dover pagare per questo.
Nella gran parte dei casi, si è riscontrato che non occorresse neanche specificare che la restituzione fosse condizionata alla corresponsione di denaro, né tanto meno si rendessero necessarie minacce dirette ed esplicite in tal senso.
I malcapitati, insomma, erano consci si trattasse di una estorsione e da parte di persone “di sicura caratura criminale”, per cui accondiscendevano immediatamente ad avviare una trattativa per stabilire il prezzo della “tangente”.
Il passaggio successivo consisteva infatti e proprio in una negoziazione per stabilire il prezzo da pagare, che il più delle volte variava da 850 a 2 mila euro.
Quindi - nei casi dell’estorsione consumata - la banda si sarebbe fatta consegnare il denaro in contante e solo dopo aver riscosso indicato il luogo dove si sarebbe potuto trovare l’auto rubata, luogo di cui chiaramente avrebbe avuto la disponibilità materiale.
Solo in casi limitati - in particolare quando non si trovava l’accorso sulla somma da pagare - si è riscontrato si innescasse una spirale di minacce e intimidazioni, sino ad arrivare ad un ultimatum perentorio alla vittima in cui si faceva capire chiaramente che se non si fosse pagato il mezzo sarebbe stato distrutto.
Nell’ambito dell’indagine, i Carabinieri hanno recuperato e restituito ai legittimi proprietari 36 mezzi rubati. Inoltre sono state ascoltate 52 vittime, molte delle quali hanno fornito un quadro dettagliato, con descrizioni di fatti e persone definite “lucide, lineari e precise”.
Purtroppo per quattro di queste vittime è stata necessaria la denuncia in stato di libertà per “favoreggiamento personale”, in quanto, pur a fronte di elementi che provavano le richieste estorsive ricevute, avrebbero negato l’accaduto, non fornendo alcuna collaborazione allo sviluppo delle indagini.
La vasta operazione di oggi mette quindi in risalto, ed ancora una volta, la particolare determinazione con cui i militari cosentini, operano per contrastare il fenomeno dei “Cavalli di ritorno”, una vera e propria “piaga” dell’intera area urbana.
I carabinieri perciò, e con l’occasione, hanno voluto rivolgere ai cittadini l’invito a non lasciarsi intimorire dai soprusi di malfattori senza scrupoli, e di riporre la massima fiducia nelle istituzioni denunciando i reati subiti e le richieste ricevute, in modo da sradicare in modo definitivo questo odioso fenomeno.
L’operazione è stata condotta dai militari del Comando Provinciale di Cosenza, in collaborazione col personale del 14° Battaglione Calabria, dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, del Nucleo Cinofili di Vibo Valentia e della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto (nel messinese).