Dia: l’emergenza Covid farà prosperare la ‘ndrangheta, sotto scacco famiglie e imprese
“Una Questione meridionale non solo mai risolta, ma per decenni nemmeno seriamente affrontata, offre alle organizzazioni criminali da un lato la possibilità di esacerbare gli animi, dall’altro di porsi come welfare alternativo, come valido ed utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale”.
Le mafie continuano a rafforzarsi, soprattutto nella aree del Paese nelle quali sono nate e pasciute. La ‘ndrangheta calabrese non fa eccezione, anzi, si conferma sempre più dominante in Italia e l’attuale crisi economica, soprattutto dopo il peggioramento dovuto all’emergenza Covid, apre nuovi scenari.
La paralisi economica, che proprio con la crisi sanitaria degli ultimi mesi ha assunto dimensioni “macro”, può permettere alle mafie prospettive di espansione e di arricchimento paragonabili ai ritmi di crescita “che può offrire solo un contesto post-bellico”.
C’è tutto questo, ed in sintesi, nella relazione del secondo semestre 2019 stilata dalla Direzione Investigativa Antimafia che come di consueto traccia la fotografia della criminalità organizzata nel nostro Paese.
La Dia è perentoria: l’attuale situazione economica dell’Itala, alla luce anche dell’emergenza coronavirus, apre due scenari. Un primo è di breve periodo, in cui le organizzazioni mafiose tenderanno a consolidare sul territorio, specie nelle aree del Sud, il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali.
Un supporto - spiegano gli investigatori - che passerà anche attraverso l’elargizione di prestiti di denaro ad attività commerciali di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti.
Un secondo scenario è invece quello di medio-lungo periodo, in cui le mafie - specie la ‘ndrangheta - vorranno ancor più stressare il loro ruolo di player, affidabili ed efficaci anche su scala globale.
L’economia internazionale avrà bisogno di liquidità ed in questo le cosche andranno a confrontarsi con i mercati, bisognosi di consistenti iniezioni finanziarie.
DALL’INFEZIONE SANITARIA A QUELLA MAFIOSA
Non è improbabile perciò che aziende anche di medie e grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva proprio sui capitali mafiosi.
Dunque, potrà anche verificarsi che altre aziende in difficoltà ricorrano ai finanziamenti delle cosche, finendo, in ogni caso, per alterare il principio della libera concorrenza.
Uno scenario di medio-lungo periodo che, sempre secondo la Dia, ha un certo grado di prevedibilità e che all’infezione sanitaria del virus affiancherà l’infezione finanziaria mafiosa, “impone che la classe dirigente pubblica mantenga sempre alta l’attenzione”.
Se da un lato, infatti, nella fase dell’emergenza sanitaria, la rosa delle ostituzioni è pressoché unanime nel vigilare sugli eventuali tentativi di infiltrazioni mafiose, nella “fase 3”, con il progressivo decadimento dell’attenzione, quando i riflettori si abbasseranno, le mafie sicuramente tenderanno a riprendere spazio, insinuandosi nelle maglie della burocrazia.
“Già da tempo - affermano infatti gli investigatori - si è osservata la tendenza delle organizzazioni mafiose ad operare sotto traccia e in modo silente, evitando azioni eclatanti”.
DAL CONSENSO AI FONDI EUROPEI
Le mafie rivolgono insomma le proprie attenzioni verso ambiti affaristico-imprenditoriali, approfittando della disponibilità di ingenti capitali accumulati con le tradizionali attività illecite.
Si tratta di modelli moderni, capaci sia di rafforzare i propri vincoli associativi, con la ricerca di consenso nelle aree a forte sofferenza economica, sia di stare al passo con le più avanzate strategie d’investimento, riuscendo a cogliere anche le opportunità offerte dai fondi dell’Unione Europea.
In questo quadro, quindi, l’attuale grave crisi sanitaria si presenta per le organizzazioni criminali come una “opportunità” per ampliare i propri affari, a partire dai settori economici già da tempo infiltrati, per estendersi anche a nuove tipologie di attività.
Una strategia che le mafie potrebbero perseguire anche mettendo in atto un’opera di “distrazione” dell’attività delle Forze di polizia, sia alimentando forme di azione anche violenta, sia favorendo l’incremento di reati che hanno immediato effetto sul mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica o comunque alimentando forme di protesta sociale.
IL WELFARE MAFIOSO CHE CREA “DIPENDENZA”
E proprio la criminalità calabrese, nell’offrire sostegno economico a famiglie in difficoltà e proponendosi come benefattrice, potrebbe determinare una pericolosa dipendenza, da riscattare a tempo debito.
Nella relazione della Dia, in tal senso, si fa riferimento e ad esempio ai lavoratori in nero o a quelli sottopagati che costituiranno un bacino di voti utili alle finalità del clan in occasione delle elezioni o a coloro che si troveranno costretti dalle cosche - pur di garantire un sostentamento alle proprie famiglie - a diventare custodi di una partita di armi o di droga, trasportatori o spacciatori.
Il rischio è concreto anche in capo agli imprenditori in difficoltà, ancor più bisognosi di liquidità per mantenere viva l’azienda, per pagare i dipendenti, per far fronte ai debiti ed alle spese di gestione e per pagare le tasse.
Su di loro incombe dunque il pericolo dell’usura, dapprima - anche a tassi ridotti - finalizzata a garantire una qualche forma di sopravvivenza e, successivamente, sotto forma di pressione estorsiva, finalizzata all’espropriazione dell’attività.
“In questo momento - ribadiscono gli investigatori - appare opportuno mantenere alta l’attenzione sui settori che più di altri hanno sofferto l’immobilità commerciale e che nel recente passato sono risultati nelle mire della ‘ndrangheta”.
A cominciare dai commercianti al minuto, agli alberghi, ai ristoranti, alle pizzerie, alle attività estrattive, alla fabbricazione di profilati metallici, al commercio di autoveicoli, alle industrie manifatturiere, all’edilizia ed alle attività immobiliari, alle attività connesse al ciclo del cemento, alle attività di noleggio, alle agenzie di viaggio, alle attività riguardanti le lotterie, le scommesse e le case da gioco.
Tutti settori in cui la ‘ndrangheta ha già dimostrato di avere un forte know-how e sui quali potrebbe ulteriormente consolidare la propria posizione.
‘Ndrangheta che potrebbe, parallelamente, interessarsi anche ai settori che non hanno subìto un congelamento operativo, ma che potrebbero essere investiti da una vigorosa domanda “di riflesso” alla ripresa degli altri segmenti.
Il riferimento è, ad esempio, al settore dei trasporti o alla filiera agro-alimentare, all’industria sanitaria e al conseguente indotto. Altri ambiti sui cui le cosche calabresi continueranno a lucrare sono i servizi di smaltimento dei rifiuti sanitari prodotti a seguito dell’emergenza, nonché i servizi funerari, messi a dura prova dall’elevato numero di decessi a causa del virus.
LA STRUMENTALIZZAZIONE DELLA PROTESTA SOCIALE
Un altro aspetto evidenziato nella relazione della Dia è quello di un possibile interesse della ‘ndrangheta nel fomentare anche episodi di intolleranza urbana, strumentalizzando la situazione di disagio economico per trasformarla in protesta sociale, specie al Sud.
Parallelamente, le organizzazioni si stanno proponendo come welfare alternativo a quello statale, offrendo generi di prima necessità e sussidi di carattere economico.
Si tratta di un vero e proprio investimento sul consenso sociale, che se da un lato fa crescere la “rispettabilità” del mafioso sul territorio, dall’altro genera un credito, da riscuotere, ad esempio, come “pacchetti di voti” in occasione delle elezioni.
IL PRESTIGIO INTERNAZIONALE
Le analisi delle risultanze investigative e giudiziarie di questo secondo semestre del 2019, dunque, restituiscono, ancora una volta, l’immagine di una ‘ndrangheta silente ma molto attiva sul fronte affaristico imprenditoriale, sempre più leader dei grandi traffici internazionali di droga, quindi in costante ascesa per ricchezza e “prestigio”.
L’affermazione criminale dei clan calabresi è da ricondurre, in prima battuta, ai vincoli tradizionalistici e familiari, che la rendono ben salda già dalla base, ossia dai legami di sangue, preservandosi in tal modo, quasi del tutto, dall’esposizione al rischio del pentitismo.
Proprio questo risulta tuttora l’aspetto principale che pone la ‘ndrangheta come interlocutore privilegiato per i più importanti gruppi criminali stranieri, in quanto partner affidabile per qualsivoglia affare transnazionale.
I narcos sudamericani, in particolare, paiono apprezzare ormai da diversi decenni l’impermeabilità delle consorterie calabresi a forme di collaborazione con le istituzioni, che potrebbero compromettere l’immissione nei mercati delle ingenti produzioni di droga.
Ciò rende la ‘ndrangheta sicuramente l’organizzazione criminale più “referenziata” sul piano internazionale e soprattutto, in grado di instaurare interazioni e forme di collaborazione con interlocutori di qualsiasi tipo.
LA CAPACITÀ ADATTIVA E L’INFILTRAZIONE POLITICA
Le più importanti inchieste degli ultimi anni hanno fatto ampia luce proprio sulla spiccata attitudine degli ‘ndranghetisti a relazionarsi efficacemente sia con efferate organizzazioni criminali estere, quali appunto i narcos, sia con le altre organizzazioni mafiose del Paese, sia con esponenti politici, imprenditori o professionisti in grado di favorire la produttività dei propri business.
Una capacità adattativa che ha permesso ai clan di acquisire sempre più segmenti di infiltrazione anche nel panorama politico ed istituzionale, conseguendo appalti e commesse pubbliche.
Allo stesso modo, la penetrazione dei più svariati settori imprenditoriali favorisce l’inserimento nei circuiti societari più sani, talvolta “scalandoli” fino a raggiungerne la titolarità e, comunque, utilizzandoli per il riciclaggio dei proventi illecitamente accumulati al fine di acquisirne di nuovi sempre più ingenti.
In tal senso il Ministro dell’Interno, nel corso dell’audizione dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, tenutasi il 30 ottobre scorso, ha sottolineato come la ‘ndrangheta si presenti ancora come una:
“organizzazione fortemente strutturata su base territoriale, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice che si avvalgono del rispetto di usanze e ritualità consolidate …, che dà sostanza al vincolo associativo con un connubio del tutto peculiare di arcaicità e modernità … Quest’ ultimo aspetto è reso evidente da una forte propensione all’internalizzazione delle proprie attività…”.
Aggiunge il Ministro che
“…la vocazione imprenditoriale della ‘ndrangheta continua ad essere alimentata dalle ingenti risorse provenienti dal narcotraffico internazionale, dalle infiltrazioni negli appalti pubblici, dalle estorsioni e da altre fonti illecite reinvestite nel circuito dell’economia legale. Anche le cosche calabresi annoverano oggi affiliati capaci di relazioni affaristico-imprenditoriali in grado di condizionare ambienti politico-amministrativo ed economici… I riscontri investigativi e giudiziari ne confermano il primato nel narcotraffico mondiale, aspetto per il quale le attività di contrasto si sviluppano attraverso un’intensa cooperazione internazionale…”.
Ancora, il Ministro ha ribadito poi che la
“…capacità della ‘ndrangheta di ampliare il proprio raggio di azione in territori lontani da quelli di origine trova conferma anche nella ormai ben documentata infiltrazione di alcuni enti locali in regioni fino a poco tempo fa ritenute esenti, al riparo da tali rischi…”.
TRA POLITICA, IMPRENDITORIA E MASSONERIA DEVIATA
Questa duttilità criminale è emersa pienamente nella “… più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo…”, così come l’ha definita il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, ovvero l’inchiesta “Rinascita Scott” (QUI), conclusa nel mese di dicembre con l’esecuzione di 334 misure restrittive per un totale di 416 indagati, che avrebbe fatto luce su una lunga serie di rapporti tra la potente cosca dei Mancuso di Limbadi (nel vibonese) e il mondo politico-imprenditoriale con segmenti di massoneria deviata annessi. Un contesto definito dal Giudice per le Indagini Preliminari tipico di una “’ndrangheta massona”.
Un’inchiesta presa ad esempio nella relazione della Dia perché avrebbe consentito di sviscerare le dinamiche criminali della cosca Mancuso, facendo luce sull’operatività di strutture di ‘ndrangheta in grado di controllare il territorio di riferimento e di gestirne capillarmente ogni attività lecita o illecita, nonché l’utilizzo di tradizionali ritualità per l’affiliazione e per il conferimento delle doti.
Ne sarebbe poi chiaramente emersa anche la rilevanza della consorteria a livello extra provinciale, con consolidati rapporti, finalizzati al mutuo soccorso ed allo scambio di favori criminali, instaurati, tra gli altri, con i De Stefano di Reggio Calabria o i Piromalli di Gioia Tauro, oltre che con esponenti di Cosa Nostra (in Sicilia), databili già dall’epoca pre-stragista.
“Per quanto concerne strettamente le dinamiche delittuose – spiegano ancora dalla Dia - ha avuto conferma l’oramai consolidata capacità di infiltrazione nell’imprenditoria, attuata con meccanismi sempre più sofisticati, grazie al contributo di professionisti collusi, e documentata da numerose intestazioni fittizie e da svariate operazioni di riciclaggio, svolte a partire dalla provincia vibonese per arrivare fino a Roma e all’estero”.
IL SISTEMA ARCAICO MA ATTUALE E CAMALEONTICO
Al tempo stesso, però, la consorteria non ha mai rinunciato alla pressione estorsiva e all’usura a commercianti e imprenditori locali, al traffico e spaccio di stupefacenti ed alla commissione di omicidi e di altre condotte violente.
Particolarmente significativa, peraltro, è risultata la costante ricerca di contatti con esponenti politici, massoni deviati, influenti professionisti, rappresentanti delle istituzioni e dell’imprenditoria, finalizzata al perseguimento di fini illeciti.
Si fa riferimento, ad esempio, ad un noto professionista e politico catanzarese, nonché a un amministratore locale del Comune di Pizzo Calabro, risultati in rapporti diretti con esponenti delle consorterie criminali.
L’indagine ha insomma mostrato che la ‘ndrangheta sia un’organizzazione criminale molto attiva, al contempo tradizionale e moderna, ancorata saldamente a vincoli associativi interni, attraverso i quali accresce il consenso, soprattutto in aree economicamente e socialmente depresse.
Allo stesso tempo dimostra di essere camaleontica nei processi di adeguamento ai contesti socio-economici nazionali ed internazionali, perfettamente inserita nei meccanismi di progresso e globalizzazione.
Sempre più di frequente si assiste all’avvio verso le migliori università italiane e straniere delle proprie giovani leve, che vengono mandate a formarsi per poi servire l’organizzazione criminale adattandosi alle esigenze dei tempi e delle economie moderne.
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